Dialogare con i propri ricordi senza consapevolezza equivale a perdersi in un palazzo labirintico, simile al castello del Mago Atlante, alle cui finestre si affacciano volti che per un attimo ci risultano familiari, ma che per lo più sono ingannevoli, immagini prodotte dal nostro stesso desiderio, distorte da ciò che per noi è stato un tempo significativo e che in qualche modo ancora ci riguarda.

La memoria per certi versi è una malattia prodotta dall’incapacità di dimenticare che produce distorsioni interpretative legate agli accadimenti. Operare una sorta di riordino e di ricapitolazione delle proprie esperienze, significa legarle insieme, imparare a leggerle in forma consequenziale e simbolica, riordinando il coacervo indistinto di accadimenti che si agita in noi. Sant’Agostino, per certi versi, nelle sue “Confessioni” diviene un punto di riferimento importante per attuare questo lavoro di riordino. Infatti in questo libro, una delle prime autobiografie in assoluto, ripercorre emozioni e sensazioni che ha vissuto, dando loro un valore e una collocazione, riflettendo sul significato del ricordo, risultando così un antesignano di Marcel Proust. Agostino racconta del suo peregrinare fino a giungere ai campi e ai vasti quartieri della memoria, di cui percorre le piazze, le strade, dove si trovano i tesori delle molteplici immagini accumulate nel corso dell’esistenza e che ha fissato attraverso
i sensi, salvandole così dall’opera incessante di distruzione prodotta dall’oblio. S’instaura, tra Agostino e le immagini, una forma di dialogo che riordina azioni, pensieri, eventi e circostanze, attraverso il tempo passato, presente e futuro. La memoria per lui si configura come un santuario talmente vasto da risultare infinito, come infinita è la ricerca della conoscenza dei luoghi materiali e spirituali, dentro e fuori di noi.
Egli passa in rassegna tutte le conoscenze derivategli dallo studio di molteplici discipline, ma anche quanto ha sperimentato attraverso i sensi e che permane come immagine interiore. Il rimembrare nella sua profonda e infinita complessità, talvolta produce un senso di vertigine, ma al tempo stesso genera un anelito costante verso l’Assoluto, in quanto solo il suo ricordo e la nostalgia che produce in noi, ci può permettere di ritrovarlo. Che cos’è un palazzo della memoria? Si tratta di uno dei metodi di memorizzazione più efficaci, risalente al poeta greco Simonide di Ceo e di cui parla diffusamente anche Cicerone, che permette di trattenere i ricordi e le informazioni, fissandoli dentro di noi in modo indelebile. Anche Raimondo Lullo teologo, filosofo e matematico catalano, ha applicato questa tecnica che definisce Ars Magna, in quanto sta alla base di tutte le arti. In seguito, Giordano Bruno riprende in numerose sue opere quest’arte di coltivare e sviluppare le facoltà mnemoniche. Matteo Ricci, gesuita e matematico della seconda metà del Cinquecento, viaggiatore e missionario in Cina, seppe utilizzare questa tecnica, combinando insieme elementi della cultura orientale e occidentale. Per applicare la mnemotecnica si devono costruire dei luoghi mentali, immaginari, chiamati loci, dove si collocano le informazioni ricevute e applicando un esercizio continuo di attenzione e visualizzazione, li si esplora e li si percorre, trasformandoli in spazi familiari. La mnemotecnica è un sistema capace di riordinare l’Universo nei suoi molteplici aspetti configurandolo come un meccanismo perfetto in cui tutti gli elementi sono in costante relazione tra loro. Harold Bloom, critico letterario statunitense, scomparso nel 2019 all’età di ottantanove anni, ci ha lasciato prima di morire una sua poderosa opera intitolata “Posseduto dalla memoria. La luce interiore della critica” in cui ripercorre in una sorta di diario, saggio letterario e testamento spirituale, i testi di alcuni autori della poesia, del teatro e della letteratura che nel corso della sua vita sono stati per lui imprescindibili e che ha interiorizzato al punto di averli imparati a memoria. In fondo, la memoria, oltra ad essere una tecnica è anche una forma di possessione che ci lega in modo indissolubile a quanto profondamente ci riguarda e che perciò resta indimenticabile.
Lucia Guidorizzi