Quando si parla di pace c’è spesso il rischio di un avvitamento nei territori del desiderio, che fa perdere di vista i reali termini del problema; è infatti diffusa la tendenza a costruite ipotesi completamente staccate dall’urgenza della realizzabilità, con viaggi zigzaganti nell’ambito dell’utopia, che come tale è fine a se stessa, priva solitamente della pur minima aderenza alla realtà effettuale. Un libro ci dimostra ampiamente come sia possibile creare i presupposti per una proiezione verso tempi, nei quali sia possibile il confronto senza lo scontro, l’ascolto senza spirito di superiorità sull’interlocutore, la consapevolezza di ciò che si è, di ciò che si ha, di quanto possiamo contribuire a un più generale quadro di rapporti libero dalle scintille conflittuali. I due autori, Roberto Carlon e Paolo Pagliai, hanno due storie differenti ma un’unica vocazione al culto della dea Eirene.
Due pensatori molto diversi tra loro che trascendono il problema della lontananza – l’uno è fiorentino, vive a Città del Messico e insegna all’università Diritti Umani e costruzione della Pace, l’altro è veneziano, lavora nell’ambito della creatività artigianale e crede fermamente nelle potenzialità della meditazione, praticata con metodo sistematico da alcuni anni – sono entrambi impegnati in uno studio sulle ragioni precipue della perdita della pace e sulle modalità per recuperarla in termini di concretezza vera tra gli individui e i differenti gruppi sociali e statuali. Dopo uno scambio fitto di corrispondenza dai due poli delle rispettive residenze hanno fatto convogliare il materiale di appunti, riflessioni, riferimenti culturali, studi sull’argomento in un libro, che vuol essere la piattaforma di partenza verso approdi possibili di incontro, ascolto, disponibilità non solo tollerante, ma pronta all’apprezzamento della diversità.
L’opera dichiara in copertina l’ambito tematico della trattazione, Alla ricerca della pace perduta – Sull’isola del tesoro. Il sottotitolo è una chiave per entrare nello spirito di questo volume: nella sua tensione strutturale binaria fa sentire due voci molto diverse che proprio nella loro diversità dimostrano come, anche quando si è apparentemente molto lontani, si può senza grande sforzo arrivare a una convergenza, a un’unità di intenti. E la finalità primaria è la pace, un approdo che presenta difficoltà di ogni genere, peraltro ben poca cosa in confronto con gli effetti devastanti della sua assenza. Il volume, che ha un’illuminante prefazione di Leonardo Montecchi e un ricco apparato di note bibliografiche e di indicazione delle fonti, è un prezioso vademecum di appunti e provocazioni che è importante leggere ma è ancor più interessante rileggere, perché densi di significati e generoso di inviti a ripiegarsi su se stessi, chiedendosi magari quale contributo sia possibile dare individualmente anche per sfuggire al rischio di doversi solo lamentare di fronte ai continui episodi di conflittualità vicina e lontana.
Enzo Santese