HomeLetteraturaCoccolo e il poetico indugio sul passato

Coccolo e il poetico indugio sul passato

I ritmi della poesia rintoccano di nuovo nell’o­rologio della storia personale di Roberto Coc­colo, con la raccolta Corrono tra noi parole (edizioni Hammerle, Trieste), a indicare la ricchezza di una vena sorgiva che riversa sul­la pagina bianca il riflesso di una consuetudine a comunicare il senso profondo del suo stare nel mondo; lo fa con l’occhio rivolto ai punti nodali del percorso esistenziale fino all’ultima lirica, composta anche per scandire il tempo tra introspezione e prospezione di moti del cuore, tenuti segreti a lungo e poi offerti all’ascolto e all’eventuale valutazione di un uditorio tanto ampio, quanti sono i suoi lettori. È il segno che la poesia, quando è vibrante di significati, può essere strumento di convergenza concettuale e sentimentale.

Se avesse la pigrizia disincantata dei movimen­ti e la tendenza a farsi trascinare dall’idea del futuro, sarebbe un perfetto flâneur, che torna ripetutamente sui passi di una camminata re­trospettiva nei tempi e negli spazi del vissuto in cerca di cose, situazioni e persone che hanno inciso sul suo repertorio emotivo; quelle emer­genze, che si stagliano sul palcoscenico della memoria, sospingono l’autore a cercare nelle articolazioni significanti della poesia le corri­spondenze simmetriche rispetto al microcosmo interiore che, nel confronto fra “quanto è stato e ciò che è”, delinea una mappa di stati d’animo segnata da punti qualificanti del suo itinerario di vita. La poesia sgorga da una fonte sorgiva e plana su cose e persone con forza che sembra dilavare le incrostazioni superficiali della realtà ed esporla nella sua nudità al giudizio di chi legge.

Da tale punto di vista, si può dire che nella materia lirica di questo autore c’è il fer­mentante ardore espressionistico di un dipinto, che affida alla ricchezza dell’impasto cromatico il compito di far emergere immagini, icone di un sentimento vicino alla sostanza emotiva di chi l’ha percepita. Ciò si sbalza un’altra volta con chiarezza in questa raccolta, con liriche spes­so capaci di sospingere l’interlocutore in quella zona, dove l’unica certezza consentita è quella della polivalenza significante delle immagini, che rampollano in sequenza veloce da una ver­sificazione “tutta d’un fiato”, come se Coccolo volesse dire quanto freme nella sua coscienza, senza avere la tentazione di filtrarlo attraverso il setaccio del consueto e dell’acquisito. Nella poesia, anzi nella poetica, è sempre in ag­guato il nume della sorpresa, quello che stor­disce le convinzioni più radicate: il gioco delle metafore allora è arena dialettica, in cui si con­frontano spazi della memoria e della cronaca personale, in un sollecitante intrico di segnali che corrono verso bersagli mobili, concetti, tra­guardi interiori, piroette della mente, e atten­dono che le cose si sistemino in una posizione di quiete, per assestare la mira e centrare l’o­biettivo. “Troverò il tuo ricordo / nel profilo di un viso / oltre i vetri di un caffè / in un refolo di Bora / che scompiglia i capelli.”

Anche quando il pensiero sembra scaturire da un agitato dor­miveglia, Coccolo affida all’enigma della paro­la il dato persistente di un’ansia per la sorte delle cose, delle persone, della natura; si ferma, ne ascolta e intercetta perfino il suono mentre si rifugia nel dettaglio di natura. L’autore è forte di una consapevolezza decisa sugli strumenti che gli consentano di dire: “un sogno / che mi porta al largo / nel mio passato”, mentre le attese si consumano nello sbiadi­re delle speranze e i desideri hanno in sé il fuoco acceso dei sentimenti per il mondo circostante.

La scrittura, la lettura, lo sguardo rivolto all’immensità del cielo, il calore di una carez­za, fanno lievitare l’umore del soggetto e la sua energia nell’affrontare la realtà quotidiana co­stituendo, a sua volta, il combustibile essenzia­le di un viaggio continuo nelle lande del sogno, dell’immaginazione, in quel territorio dove le leggi di gravità non hanno rilievo. L’energia immaginifica è il propulsore per avventure del pensiero nelle successioni del tempo e nelle im­mensità dello spazio, difficilmente raggiungibi­li altrimenti nella realtà effettuale, soprattutto per il poeta che per indole privilegia le ragioni della quiete fisica rispetto a quelle del movi­mento. Coccolo ha un legame stretto e di un amore profondo per la Trieste, bozzolo sicuro dove affrontare le difficoltà dei tempi con la sensazione che l’aria di casa serva a attutire le punte ispide del vivere.

Già la precedente silloge, Il tempo fermo, mo­stra un’apertura più dilatata sulla tematica dei rapporti e connessioni tra l’io poetante e le ar­ticolate evidenze del mondo fisico, della sfera affettiva, dell’appartenenza a un’area di pen­siero in costante fermento, che si muove sen­za tregua in un andirivieni tra le stagioni tra­scorse e l’attualità, fra i luoghi di una geografia dell’anima che valica anche l’ambito della città d’origine, in racconti di passeggiate dal sapore sabiano “Così mi piaceva la città / corsa da un rimpianto dolce / / che non faceva male.” I turbamenti per la cronaca quotidiana, le ansie di futuro che sfumano nel ricordo rassicurante di esperienze pregresse, le adesioni alla gamma di meraviglie legate al contesto naturale, sono energie che percorrono i concetti incanalati nel flusso di versi che, con il loro ritmo variabile, rispondono alla vasta gamma di opzioni offerte dall’interiorità nella sua ricognizione sul tempo andato, sulla dinamica del presente, sulla pro­spettiva del divenire. Nella pagina poetica di Coccolo aleggia sem­pre una “presenza” con cui il poeta dialoga, affidando al verso la forza evocativa di affetti lontani nel tempo e nello spazio eppur evidenti nella fisionomia di sentimenti che sono veicolo di emozioni, capaci di ripetersi con l’intensità della prima volta, perché l’amore “Incanta l’a­nima / assottiglia il tempo / con affilate attese. / Investe nella banca / di un cuore scombina­to / lo spinge ad un azzardo / che non sapeva immaginare.”

L’amore, inteso in tutte le decli­nazioni, è il perno centrale attorno a cui ruota gran parte della sua riflessione, fino a rivestire ogni cosa del tratto che salda il debito di as­senze trasformandole in anime colloquianti, in termini di attenzione e di ascolto. D’altro canto Corrono tra noi parole è affermazione di un colloquio inesausto tra il poeta e le persone care, che chiama a rinsaldare ricordi di stagio­ni passate in cui è scritta gran parte della sua sostanza esistenziale. In ogni caso, questa raccolta è ulteriore pro­va che Roberto Coccolo fa vibrare la sua sen­sibilità su molteplici punti concettuali (la sua città, la guerra, il confine, l’attaccamento alle meraviglie della natura, il tempo demolitore e trasformatore di cose e persone), cultore del­la “poesia semplice / in bilico su poche note / che talvolta si commuove.”, ma poeta di note alte, anche quando si ripiega su vicende legate ai propri cari, oppure ai compagni della scuola elementare, con la capacità di illuminare quegli anni lontani senza perdere di vista la contem­poraneità con le declinazioni di dolore, soffe­renza diffusa, ma anche gioia di esistere nelle intermittenze di quiete in mezzo agli incomodi del quotidiano.

Enzo Santese

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