Ernst è uno degli artisti più affascinanti del secondo millennio e i suoi lavori rimandano a un mondo culturale che attinge indistintamente dalla filosofia come dalla scienza, dalla religione come dal naturalismo, dalla storia dell’arte, dalla psicologia e dalla psicoanalisi. Per tanti aspetti il suo stile richiama l’eclettismo di quelle figure geniali del rinascimento che si cimentavano con successo in ogni settore perché portatori di conoscenze interdisciplinari ma Ernst, che ha la possibilità di muoversi in un sapere stratificato, senza rinunciare al passato lo contamina con moderne sovrastrutture, lo anima con confuse pulsioni in bilico tra eros e thanatos.

Davanti alle opere di Max Ernst la prima sensazione è sicuramente di stupore, disorientamento, perché l’insolita visionarietà dei lavori dell’artista tedesco trasporta immediatamente l’osservatore in un’altra dimensione, un mondo possibile solo nei sogni.
Dunque la sua creatività è colta, erudita nei richiami e rimandi, ricercata nei materiali e nelle tecniche, provocatoria nei messaggi e nei temi, elegante e raffinata nelle scelte figurative, in un gioco che avvince e trascina in una dimensione atemporale indefinibile. L’adesione dell’artista tedesco a un mondo meraviglioso e irreale comincia molto presto; infatti i suoi primi studi universitari sono rivolti alla filosofia, alla psicologia, ed in questa fase esplora un mondo ove la ragione cede il posto al disagio, all’alienazione, alla follia.
Dopo poco abbandona questi studi per dedicarsi all’arte, inseguendo da una parte una naturale inclinazione visto che suo padre era un pittore, dall’altra cercando di liberare nella creatività della pittura una spontanea e irrazionale associazione di pensieri e oggetti, di emozioni e rappresentazioni. Aderisce sin dai primi momenti al Surrealismo ma porta in questo movimento una personale complessità, uno sperimentalismo empirico che ne fanno sostanzialmente il maggior rappresentante, il protagonista assoluto. Infatti se il surrealismo è esaltazione del sogno, come rifiuto della ragione e liberazione dell’inconscio, il pittore tedesco aggiunge a queste tendenze un’insolita coesistenza di due forze contrapposte, quella dell’uomo e l’altra dell’intellettuale che vigila sulla prima e ad essa fornisce strumenti e materiali per esprimersi e rappresentare le pulsioni e le fantasie dominanti.
E sicuramente Eros e Thanatos attraversano buona parte della produzione di Ernst, profondamente consapevole del controllo e della paura che i due elementi esercitano sull’uomo. Convinto che solo un ipocrita perbenismo borghese può negare o nascondere le pulsioni sessuali, che sono invece una parte fondamentale della sua vita personale e sociale, l’artista riconosce all’eros lo spazio dovuto, ma mai in modo volgare, alludendo più che esplicitando, dando
alla presenza femminile uno spazio di rilievo senza scadere mai in un realismo pruriginoso. Mettendo a confronto due opere distanti nel tempo come Verso la pubertà del 1921 e Il giardino di Francia del 1962 appare evidente che le due figure femminili confermano un forte condizionamento erotico della natura umana, ma nello stesso tempo rimandano ad altro, sollevano domande, spingono verso una lettura più allargata e profonda. E nemmeno è possibile negare il pensiero dominante della morte che attraversa il tempo, segue l’uomo ab origine, minacciando la salute del corpo e dell’anima. Il Crocifisso del 1914, seppure intriso di espressionismo più che di surrealismo, parla della morte, attraverso un protagonista eccezionale della religione e della storia dell’uomo. Una morte fatta di sofferenza e di dolore. Ebbene, quasi trent’anni dopo in Europa dopo la pioggia, il messaggio è lo stesso, la morte si accompagna al dolore, alla distruzione. Spirito inquieto e mai pago, cerca risposte definitive nell’arte come nella vita, senza mai trovarle, ma senza mai rinunciare. La sua vita è ricca di amori, matrimoni, viaggi, amicizie importanti, la sua arte insegue con tenacia la rappresentazione di un mondo interiore oscuro e misterioso. Una grande mostra retrospettiva, ricca di più di quattrocento opere, attende i visitatori al Palazzo Reale di Milano dal 4 ottobre di quest’anno al 23 febbraio del 2023, un’occasione unica per conoscere tante facce di un artista poliedrico che ha introdotto e valorizzato in pittura tecniche quali il grattage, il frottage, il collage, la decalcomania, che è stato anche scultore, disegnatore di gioielli e scrittore.
Mario Giannatiempo