Il Concorso di Poesia “Castello di Duino”, giunto alla XVIII edizione, ha quest’anno un tema, Nostalgia, che appare comunque “naturale” se si pensa che da qualche tempo (dal febbraio 2021) manca Gabriella Valera, che dell’iniziativa è stata l’anima pulsante, il pensiero poetante e la forza aggregante di tante energie per un’impresa che all’inizio sembrava titanica; basti pensare alle partecipazioni da ogni parte del mondo con l’entusiasmo di molti poeti di mettersi in gioco e confrontarsi con tante voci e tanti umori, indici chiari di altrettante culture coesistenti anche nella diversità. Il fatto che il concorso continui ancora oggi è un modo per rispondere alla sua Musa generatrice, Gabriella appunto, che fino all’ultimo ha affermato il desiderio che il tutto continuasse anche dopo di lei. E per noi che le siamo stati vicini a vario titolo nell’organizzazione dell’evento è un bel modo per far rivivere il suo slancio, proteso con generosità assoluta verso la ricognizione di un mondo, quello della poesia (ma anche quello del teatro) che, per fortuna, salta a piè pari la necessità costrittiva dei confini per assestarsi in una straordinaria e babelica agorà, dove la confusione di lingue lascia peraltro distinguere le differenti identità emerse nell’incontro. Se è vero che Gabriella Valera continua a “vivere” proprio nella persistenza di un appuntamento ormai iscritto tra le cose notevoli della cultura non solo a Trieste e in Regione, ma su un vasto ambito dello scenario internazionale, è altrettanto inevitabile che il sentimento prevalente in chi l’ha conosciuta possa essere quello della nostalgia, motivo suggerito per un’articolata riflessione da trasferire nella poesia in questa edizione del Concorso, intesa qui nella sua accezione di nostos (ritorno a un tempo e a un luogo passato) e algos (dolore o, comunque, malessere per la consapevolezza di una difficile realizzazione).
Nella situazione presente, senza perdere tempo in romantiche disamine retrospettive, siamo più inclini a privilegiare quella parte che consente di far leva sul ricordo per un recupero, per lo meno memoriale, dei periodi in cui l’abbiamo sentita parlare, leggere le sue poesie, discutere amabilmente sul cumulo di progetti futuri, pensando a quella sua tensione continua a parlare di proiezioni a venire. E allora, tralasciando per ora il lacerante malessere di Ulisse, inseguito dall’idea di un ritorno a Itaca, e alle Ricordanze leopardiane, che pur inquadrano il motivo con completezza d’indagine, per arrivare a modulazioni significanti più vicine a noi, mi sembra emblematica l’emozione di Montale nella lirica Fine dell’infanzia (“Ossi di seppia”): Vivere era ventura troppo nuova /
ora per ora, e ne batteva il cuore. Nell’album delle cose vissute si squadrano scene capaci di creare “virtualmente” una prossimità rispetto al senso della lontananza. E nell’opera di Mario Luzi il trascorrere del tempo dà la misura che il legame tra i viventi si annulla e si ricrea in una serie infinita di partenze e ritorni, per cui il tempo diventa materia pulsante di ogni approdo poetico: “L’oscuro, il chiaro / il loro muto avvicendarsi, / la storia umana, inestinguibile pedaggio”. Ma vibra di marcati riflessi concettuali anche la terza silloge di Gabriella Valera, “Le molte case dei miei ritorni” (Ibiskos Editrice), dove un tempo fisico e un tempo interiore si confrontano dialetticamente nel pensiero dell’autrice, che nell’affondo verticale (l’analisi del passato) e nella traiettoria orizzontale (lo sguardo al dato contemporaneo) disegna una geometria di sentimenti, che animano un mondo brulicante di abbandoni e di ritrosie, di accenni entusiastici all’esistente e ripiegamenti problematici sui contrasti della vita, di focalizzazione d’episodi dell’infanzia e condivisione di tormenti dell’attualità.
Si tratta di un libro ricco di richiami a quell’alveo, fonte di emozioni continue, che è la casa intesa anche nella sua accezione più ampia di involucro d’umanità multiforme. Lo scorrere del tempo impegna l’autrice in fulminee notazioni sul senso del “qui-ora” e del suo contrasto con l’“altrove-sempre”, come dire il determinato e l’infinito. Il volumetto è arricchito, non a caso, dall’illustrazione della copertina e di alcune pagine interne con le incisioni di Ottavio Gruber. Il tema proposto (Nostalgia) si presta a una serie praticamente infinita di interpretazioni, come dimostrano i testi proposti dai concorrenti, che spaziano su un vastissimo ambito di sfumature e soluzioni interpretative: il rapporto tra i differenti aspetti stagionali della natura; la questione del tempo trasformatore di ogni cosa; la relazione tra il microcosmo interiore e il macrocosmo fisico; gli affetti familiari e i rilievi sentimentali; la distanza problematica tra l’universo individuale e la struttura dell’“edificio sociale”; l’anelito a una giustizia più rispondente al rispetto dei diritti; il tentativo di congiunzione tra reale e ideale; la visione di un futuro nebuloso, ma anche la speranza di giorni in ogni caso migliori.
Il Primo Premio del Concorso è stato assegnato a Lukas Meisner (Germania) con la poesia Nettles / Ortiche: il testo si fonda sul recupero memoriale di un passato in cui le ortiche “non pungevano”, mentre il senso di un tempo inesorabile nella sua forza di trasformazione di tutte le cose, anche quelle della sfera interiore, prospetta altri orizzonti dominati dalla staticità della mancanza che si abbina alla dura consapevolezza dell’assenza. Le quattro strofe di versi brevi martellano con il loro ritmo il racconto del disagio dovuto all’eclissi di presenze e affetti legati al vissuto. L’esito è una disillusione profonda messa in luce anche dalla motivazione della giuria che rileva il merito dell’opera nell’“l’introspezione offerta dall’io lirico tramite l’antitesi di un passato luminoso, carico di speranze (rivissuto nella prima strofa, più estesa e di stampo naturalista) e di un presente afflitto da cupe intuizioni e dubbi interiori (intersecati fra loro nelle altre strofe, più brevi e spesso ermetiche”.
Il modulo espressivo si caratterizza per una scrittura che inquadra la problematica esistenziale nella piena libertà da orpelli retorici, ma con la forma scarna dettata dall’esigenza di andare immediatamente al cuore della questione personale trattata. Il secondo classificato è stato Jakub Koźbiał (Polonia), con la poesia Thanatos. La morte è termine di riferimento al quale solitamente si aggancia un prelievo nostalgico del passato, da cui fanno pulsare il ricordo e aggettano nel presente situazioni, aspetti della natura e fisionomie umane. Lo afferma chiaramente la motivazione: “La poesia vive sulla cadenza di un’unica lunga proposizione che ruota attorno al concetto enunciato dal titolo: la morte. È in linea con un’idea di racconto che preleva dalla memoria il materiale da elaborare nell’articolazione dei versi. Il sistema dinamico del metro dà al testo la capacità di superare il rischio di una caduta banale nell’elegia, è invece momento in cui l’autore punta lo sguardo retrospettivo sul problema presenza/assenza; in questo la morte (Thanatos) è discrimine inciso nella coscienza, che pone il soggetto poetante nella condizione di “riesumare” dal tempo andato una presenza, con la quale dialoga in un’atmosfera di metafisica colloquialità.” A dimostrazione che la funzione della memoria è a volte quella di comporre delle antinomie, riconducibili al concetto di astratto/concreto, incorporeo/materico.

Il terzo premio è andato a Marija Dejanović (Croazia) con la poesia Small items / Piccoli oggetti, dove la scrittura segue un ritmo di racconto confidenziale sulle dinamiche concettuali che legano gli oggetti di ogni giorno alla capacità di rimandi diretti o metaforici. Il testo si dispiega come una narrazione con toni di prosa, ma libera sfumature di pensiero e rinvii a significati anche lontani.
La poesia infatti invita a una lettura secondo un’analisi che affonda nel complesso stratificato dei sensi in essa contenuti. Il giudizio della giuria la mette in evidenza per l’“analisi introspettiva e retrospettiva in cui colpisce la capacità di costruire incisive immagini che assimilano precisamente la misura e la collocazione spaziale. Notevole è il potere equilibrante acquistato dai “piccoli oggetti” nella dimensione universale della narrazione.” Il Premio Speciale della Giuria è stato assegnato a Ghileschi Nadin-Mihaela (Romania), con la poesia Crystal globe / Globo di cristallo, in cui i pensieri dell’autrice emergono da una sequenza di immagini, dove tempo e spazio sono dimensioni affidate alla leggerezza della fantasia. Il testo si segnala per un’equilibrata organizzazione delle sue parti in un ritmo che incalza anche con la combinazione di elementi tra loro apparentemente incongrui. La poesia si sviluppa per germinazione continua di scene in un testo definito dalla giuria “complesso, dall’andamento lento, fitto di immagini radicate nella realtà; la metafora della palla di cristallo con la ‘neve’, immagine di un luogo tropicale che evoca sensualità, è il perno di una composizione larga e ricca, dai versi irregolari e dal ritmo avvolgente, come spire che si snodano intorno al ricordo di un amore lontano, forse perduto per sempre e al pensiero di una poesia, scritta in un’altra lingua, in un’altra vita.” La Targa Premio Unesco l’ha meritata Chinonso Eze (Nigeria), con la poesia Embers / Braci, in cui la durezza della situazione esistenziale lascia intendere una socialità complessa e problematica, che l’autrice ritrae per decise stoccate verbali.
La giuria nel giudizio afferma che “come pare accada da sempre e come l’opera di persuasione indefessa della cultura dominante induce a credere, la razza di Caino urla dalle sue viscere la fame come un vecchio cane, mentre quella di Abele si riscalda il ventre al proprio focolare patriarcale, volendo impiegare qua la nota metafora del massimo lirico dei tempi moderni.” E il testo serve a Chinonso Eze per far “balenare dinanzi ai nostri occhi, offuscati dai bizantinismi della decadenza capitalistica, una scintilla dell’energia creativa dei popoli più giovani ed oppressi, quella che innescherà i processi evolutivi di un’umanità rigenerata”. C’è quindi in fondo la luce di una speranza, quella che vi possa essere una decisa inversione di tendenza. La Targa ALUT, Associazione Laureati Università Trieste, è stata attribuita a Nikolaos Nikoletos (Grecia), con la poesia Christina / Cristina, breve nello sviluppo di soli quattro versi che inquadrano un sentimento rarefatto, fatto viaggiare nel territorio di una spiritualità derivata da una bella aderenza al fisico. La motivazione della giuria mette in evidenza “la sua significativa concisione che in un insieme di parole essenziali e inestricabili restituisce, attraverso immagini sensoriali, un universo intimo e spirituale di elevato contenuto poetico.” Infine il Premio Sergio Penco (speciale per gli under 16) è stato assegnato a Sara Janković (Montenegro) di anni 14, con la poesia Blueberries and sky / Mirtilli e cielo. Il testo rivela una capacità espressiva e critica che è già di persona adulta. La motivazione del premio sottolinea proprio questa attitudine ad uscire dallo sguardo tipicamente adolescenziale per imprimere profondità all’analisi dei sentimenti: “Un testo straordinariamente maturo, intenso quanto ben calibrato.”
Enzo Santese