Home Arte Pier Paolo Pasolini evocato dai ritratti di 13 artisti

Pier Paolo Pasolini evocato dai ritratti di 13 artisti

Nel contesto programmatico di eventi della Fondazione De Claricini Dornpacher di Bot­tenicco in provincia di Udine, per il centena­rio della nascita di Pier Paolo Pasolini (nato a Bologna nel 1922 e morto a Roma nel 1975), è in via di realizzazione una mostra in cui 13 artisti interpretano alcuni stati d’animo dello scrittore-regista così come emergono da varie sue opere e li quantificano sul piano figurale con la creazione di ritratti, in mostra dall’1 settembre alla Chiesa di Santa Maria dei Bat­tuti di Cividale e dall’1 dicembre al Teatro Margherita di Tarcento.

L’itinerario poetico ed esistenziale di Paso­lini ha Casarsa come punto di partenza e di arrivo e disegna nel suo destino un’orbita iniziata e conclusa proprio qui, dove la sua poetica ha mosso i ritmi di un verso capace di alimentarsi sulla realtà, sui simboli, sulle atmosfere, sulle persone del luogo. In effet­ti, dopo lo scoppio della guerra viene accol­to nel paese della destra Tagliamento, dove la mamma Susanna Colussi ha le sue radici. Non è un caso che Poesie a Casarsa (1942) costituiscano la prima opera, in cui l’adozione del dialetto è il dato estrinseco di un’adesione profonda all’ambiente, vissuto nelle sue dina­miche più vicine alle risonanze arcaiche. L’at­tività poetica – scandita poi da titoli di raccol­te come La meglio gioventù 1954), Le ceneri di Gramsci (1957), L’Usignolo della Chiesa Cattolica (1958), La religione del mio tem­po (1961), Poesia in forma di rosa (1964), Trasumanar e organizzar (1971) – è il perno attorno a cui ruota ogni suo impegno di pen­siero e di azione. Alcuni titoli sono l’evidenza di una fibrillazione concettuale dove sguardo analitico sull’esistente e originalità espressiva creano i contorni netti di una personalità tra le più significative nel panorama italiano del Novecento. Dopo aver lasciato il “suo” Friu­li, nel 1950, va a Roma ampliando lo spet­tro delle sue attenzioni e delle sue strategie creative nella narrativa; nel ’55 esce il suo primo romanzo, Ragazzi di vita, che apre la serie della quale meritano, peraltro, di essere ricordati per gli effetti prodotti nel dibattito culturale del tempo Una vita violenta (1959, Teorema (1968) e Petrolio (pubblicato postu­mo nel 1992 da Einaudi).

Pasolini non si è mai concentrato su un uni­co impegno intellettuale, ma ha spaziato con disinvoltura e capacità di approfondimento in approdi diversi. Negli stessi anni infatti segnala il suo valore nel mondo del cinema con la collaborazione a Fellini e a Bolognini. È l’avvio di un percorso nell’ambito del rac­conto per immagini che nel 1961 registra la prima grande prova autonoma nella regia con il lungometraggio Accattone, ambientato nel­le borgate romane e incentrato sulla ribellione antiborghese delle persone emarginate.

Poi seguono opere che incontrano un’alterna for­tuna di consensi nel pubblico e nella critica, eppure per motivi diversi restano pietre milia­ri di un cammino arduo attraverso la presa di coscienza di complesse problematiche sociali: Mamma Roma del ’62, La ricotta del ’63, epi­sodio del film intitolato Ro.Go.Pa.G, dalle ini­ziali dei registi impegnati negli episodi Ros­sellini, Godard, Pasolini, Gregoretti; nel ’64 Il Vangelo secondo Matteo; nel ’66 Uccellacci e uccellini, nel ’67 Edipo re, nel ’68 Teore­ma, nel ’69, che ricalca poi le linee narrative dell’omonimo romanzo, Medea. Segue quindi la famosa Trilogia della vita, con Il Decame­ron del ’71, I racconti di Canterbury del ’72, Il fiore delle mille e una notte del ’74 e il film uscito postumo nel ‘76 Salò o le 120 giornate di Sodoma.

L’opera di Pier Paolo Pasolini ha espresso tensioni creative in diverse direzioni, dalla poesia alla narrativa, dalla saggistica al cine­ma e all’arte figurativa e, proprio per questo, prospetta all’osservatore una serie di solleci­tazioni culturali che rendono la sua una delle presenze d’intellettuale più generosa di spun­ti, di problematiche e di ipotesi interpretative della contemporaneità. Pertanto la sua per­sonalità può essere graficamente rappresenta­ta dalle molteplici facce del prisma che ora, idealmente, “posano” per altrettanti ritratti realizzati da artisti che, nelle sfumature signi­ficanti dell’opera, nelle espressioni più note dell’iconografia dell’autore di Casarsa, fissa­no un aspetto da consegnare alla fisionomia costruita sulle superfici dipinte; queste nel­la mostra danno corpo a una relazione for­temente evocativa del poeta, dello scrittore, dell’attore, del regista, insomma dell’eclettico personaggio che nel turbine delle discussioni talora aspre e pregiudiziali nei suoi confronti, ha impresso una notevole scossa al periodo di quasi un ventennio del ‘900.

Nell’occasione dell’anniversario una serie di operatori dell’arte, molto differenti per dato anagrafico, sensibilità per il tema specifico, stile espressivo, lo evocano in una serie di ri­tratti: Luigi Brolese, Piero De Martin, Valenti­na Di Vita, Klementina Golja, Paolo Klavora, Denise Macorig, Stefano Micoli Roncali Polo, Lorenzo Miotto, Erik Scarpolini, Monica So­vrano, Larissa Tomasetti, Klavdij Tutta, Ta­mara Zambon.

La filmografia di Pasolini è punteggiata da momenti di forti tensioni dialettiche con le categorie dell’“istituzionale” e del “già ac­quisito”, proponendo stimoli di riflessione che a posteriori, anche in tempi attuali, con­tinuano a rivelare brani profetici per ciò che la storia ha fatto maturare fino ad oggi. Il Vangelo secondo Matteo è una pellicola che stravolge i canoni del cinema e semina inter­rogativi problematici molteplici.

Luigi Brole­se li vive appieno modulando nel perimetro delle sue superfici i volti del regista-attore e della madre con il segno di una drammati­cità in cui la donna ha nel volto il segno di un presagio drammatico e il figlio lo sguardo perduto in un orizzonte incerto e indefinito. Nell’altra opera la riduzione cromatica esal­ta l’atmosfera di sospensione della scena che appare una sorta di frame del film.

Luigi Brole­se

La pittura di Valentina Di Vita si caratterizza per una stesura che nella trasparenza riceve una spinta alla considerazione di una pro­fondità concettuale, in cui la sua idea dello scrittore assume di volta in volta la deter­minazione espressiva del volto. Il colore cola in una liquidità nella quale prende corpo la fisionomia di Pasolini con lo sguardo diretto nella frontalità dello schermo in un istante colloquiale e in un momento di pausa penso­sa. La pittura sa uscire dallo stereotipo del­la rappresentazione per un momento in cui l’artista entra nella dinamica del pensiero pasoliniano delineandone nella focalizzazio­ne del volto il problematismo che anima la sua opera. In questa circostanza, che ha anche un va­lore commemorativo, il pittore è chiamato a interpretare lo stato d’animo che gli pare di individuare in un determinato brano dell’o­pera di Pasolini. L’ora è confusa e noi come perduti la viviamo è pensiero che in forma lapidaria rimanda Klementina Golja alla co­scienza dell’autore, di sentirsi “perduto” in un destino ormai inarrestabile come è tipico di chi con i propri guizzi d’intelligenza riesce a precorrere i tempi della storia trovandosi spiazzato rispetto al sentire comune del mo­mento. L’artista racconta questo stato d’a­nimo inserendo nella sua idea di paesaggio semplificato e irreale gli elementi di un rac­conto che viaggia sui ritmi offerti dalla com­binazione iconica: l’orologio, la lateralità del ritratto in posizione assorta rispetto al signi­ficato profondo del suo stesso verso.

Valentina Di Vita

Piero De Martin si avvale di un ampio ven­taglio di materiali, tra i quali hanno una loro precisa funzione simbolica quelli di recupe­ro; come strappati da una logica di consumo con esito a perdere, l’artista li fa confluire in una dinamica capace di ricaricarli di una nuova funzione. Nelle due opere presenta­te si coglie la dimensione di un Pasolini che aleggia nella cultura contemporanea con il suo pensiero, che è stato premonitore per al­cuni versi, profetico per altri. E la luce a led è elemento equilibratore degli effetti e, nel contempo, fonte simbolica di un pensiero che ancora oggi è discusso, analizzato e assunto a punto di riferimento per le coscienze pensose del nostro tempo.

Paolo Klavora distingue le ragioni evidenti del primo piano e l’indeterminatezza dello sfondo, per rendere il soggetto padrone as­soluto di uno spazio che, oltre ad essere fi­sico, è dimensione mentale. In tal modo le figure non sono inserite in un ambiente dalle connotazioni riconoscibili ma dentro un’idea di trasparenza che è involucro di atmosfera rarefatta in un’aria talora misteriosa, in cui l’artista fa recitare i soggetti considerati come su un palcoscenico il ruolo di protagonisti. In questo caso sono emblematici gli atteggia­menti di Pasolini che in un’opera indica ai giovani un orizzonte di idee non consuete e, nell’altra, con lo sguardo rivolto all’osserva­tore si allontana verso mete culturali sempre nuove.

Paolo Klavora

Denise Macorig lo fa dando alle sue opere un tocco cartellonistico da cinema, forse pen­sando al ruolo svolto dal poeta come regista e attore, dove ha travasato il suo problema­tismo in pellicole di forte impatto visivo. Le due opere presentano lo scrittore in due degli atteggiamenti che sono stati più frequentati dai reporter, chiamati di volta in volta a re­gistrare i suoi istanti esistenziali. Da questo punto di vista la pittura mutua un modulo narrativo tipico della fotografia.

Lorenzo Miotto viaggia su più direttrici poe­tiche che fa convergere verso esiti che deter­minano un linguaggio di pregnanza evocati­va, dove il disegno nella iterazione ossessiva del tema stabilisce un rapporto di intona­zione marcatamente simbolica. La presenza di Pasolini è ridotta al busto in una figura che sembra pronta a giocare sulla scacchie­ra problematica della contemporaneità. La serialità dell’immagine accentua il senso di sospensione e di mistero che un simile argo­mento venga di volta in volta mutuato per finalità diverse da attori che poco o nulla hanno a che fare con lo scrittore.

Nell’opera di Stefano Micoli Roncali Polo la scrittura ha una parte preminente, è elemen­to di rimando ad alcune precise peculiarità del pensiero di Pasolini: da una parte l’inter­rogativo problematico “Rivoluzione?” dove le lettere o si leggono nel contorno di traspa­renze dalla definizione incerta; l’altro riporta un concetto caro alla riflessione di Pasolini: la necessità della “presa di coscienza” che si muove in uno spazio dove l’evanescenza della realtà è lo stadio iniziale dell’operazio­ne. Le opere sono quindi uno spazio di cor­rispondenze dove la tensione concettuale, in forma ellittica, evoca la figura dello scritto­re attraverso due locuzioni fondanti del suo pensiero.

Erik Scarpolini carica il volto di Pasolini di varie sfumature tonali ed espressive che poi nell’effetto “mosso” di una dilata il valore simbolico della fisionomia, che assume nella sua storia privata e in quella a posteriori un potente stimolo alla riflessione. Con il guiz­zo tipico del fotografo che cattura immagini, traduce l’istantaneità dello scatto nella len­tezza dell’operazione pittorica che dà corpo a un’idea dell’artista sul soggetto ritratto. Questo pare strappato a un album di im­magini che parlano dell’esperienza emotiva dello scrittore e affidato a una superficie dai colori caldi entro pallide tenuità.

La luce è uno degli ingredienti centrali della pittura di Monica Sovrano, che sa gestire le variegazioni del chiaroscuro in maniera da assegnare al ritratto il carattere che intra­vede nella fisionomia considerata. I volti di Pasolini, rimossi dalla ricorrente frequenza iconografica dello scrittore, hanno nella ca­pacità narrativa del monocromo lo scatto si­gnificante di un momento della vita di Paso­lini, in cui l’artista pensa di cogliere il senso della sua inquietudine (lo sguardo basso e il volto appoggiato alle due mani) da una par­te e un attimo di intensa colloquialità con il mondo circostante nell’altra.

La lunga ricerca ha portato Larissa Toma­setti a sperimentare numerosi risultati che di volta in volta rispondono a esigenze di rare­fazione assoluta dello spazio pittorico oppure di minimi indizi figurali che si campiscono emblematicamente all’interno dell’opera. Il disegno in ogni caso è una delle cifre prima­rie della sua poetica, portata in questo caso a occupare la superficie con due volti di Paso­lini, squadrati da contorni definiti e accesi da un impianto cromatico le cui tonalità acide si possono leggere come indicazioni simboliche di una vita tormentata.

L’opera di Klavdij Tutta si fonda su una combinazione stretta tra l’idea di un infinito legato alle ampiezze del cielo e alle profondi­tà del mare da una parte, e la visione di un mondo definito dalla razionalità geometrica di alcuni elementi di rilevante valenza sim­bolica. L’ambito degli interessi culturali di Pasolini è reso sulla superficie dall’allusione a una fisicità dilatata su cui scorrono alcune liste verticali, esterne alla sagoma del qua­dro, sulle quali l’immagine del poeta appare in alcune classiche espressioni del suo volto, dove si può leggere perplessità e inquietudi­ne, profondità e leggerezza.

La consuetudine con il ritratto consente a Tamara Zambon di entrare nella sostan­za psicologica del personaggio considerato mantenendosi a una distanza uguale sia dal­la rappresentazione realistica che dalla inter­pretazione puramente soggettiva. In questo modo delinea i tratti di una “presenza” vera e propria, che pulsa e vive così come l’artista lo interpreta pensando a ciò che ha scritto e realizzato. Pier Paolo Pasolini in queste ope­re esprime una luce che appartiene a pieno a Tamara Zambon, curiosa indagatrice non solo delle evidenze fisionomiche ma anche dell’anima che le caratterizza.

Enzo Santese

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