Home Letteratura Anselm Kiefer accanto ai “grandi” di Palazzo Ducale

Anselm Kiefer accanto ai “grandi” di Palazzo Ducale

“Questi scritti, quando saranno bruciati, da­ranno finalmente un po’ di luce”. Questa frase del filosofo veneziano Andrea Emo è il sotto­titolo della mostra dedicata ad Anselm Kiefer, ospitata a Palazzo Ducale a Venezia dal 26 marzo 2022. Frase provocatoria, come l’idea di esporre le sue opere moderne sotto lo sguar­do di Jacopo e Domenico Tintoretto, Tiziano Vecellio, Francesco Bassano, Paolo Veronese e tanti altri ancora.

Chi è Anselm Kiefer? Un pittore neo-espres­sionista che torna a parlare dell’uomo, della storia, dello scontro eterno tra bene e male, della morte e della violenza, della distruzione e della vita stessa, facendolo attraverso una narrazione ove la figura è stravolta, spesso in­terrotta, quasi cancellata o ridotta a brandelli. Il tutto in una composizione pittorica ove la materia prevale sul colore, striscia e si insinua su tutta la superficie, spesso notevole dei sup­porti – le opere pittoriche hanno dimensioni di riguardo, ospitabili solo in musei o capanno­ni – si mescola e rimescola senza pudore con sostanze organiche e inorganiche, altera e dà rilievo al piano che al tatto si rivela ruvido e graffiante.

Chi ha modo di vedere Kiefer in azione, come nel video di CBS News del 2018 che segue le fatiche dell’artista tedesco nel suo studio fuori Parigi, ha l’impressione di trovar­si non di fronte ad un gesto artistico profon­do, religiosamente contenuto e ispirato, ma di essere piuttosto in un’officina moderna in cui l’artista guida e coordina l’azione di molti operai e collaboratori. Kiefer ha sempre segui­to e sviluppato i suoi temi per cicli, approfon­dendo la ricerca come riflessione personale e collettiva. Mito, religione, storia, specialmen­te la tragedia della seconda guerra mondiale, costituiscono il bacino di ispirazione di molte sue opere, ma il dramma della violenza assu­me toni biblici per grandiosità e profondità.

Secondo il suo pensiero l’uomo non deve di­menticare il passato, gli errori e gli orrori che ha commesso, deve accettare di confrontarsi con essi, tenerli vicini come traccia, lacerti di una colpevole distruzione della vita. Se que­sta è stata la cifra dell’arte di Kiefer, appare evidente che la sua ricerca diventa una sorta di occasione di catarsi, purificazione, perso­nale e collettiva, e le opere devono essere lette come un ammonimento, particolarmente at­tuale in questo presente così minaccioso. L’ar­tista tedesco ha partecipato alla biennale di Venezia del 1980, a quella del 1997, è stato ospitato a Milano nel 2008 e nel 2012, e an­cora prima, nel 2004: sempre nel capoluogo lombardo, nell’Hangar Bicocca aveva aveva esposto i Sette palazzi celesti. Poi è stato pre­sente a Napoli nel 2018/9 con la mostra Fugit Amor. La prima grande opera dell’esposizione di Palazzo Ducale a Venezia presenta un’in­finita successione di legni infissi nel terreno, ora ritti ora piegati, che sicuramente alludono al triste tributo della guerra. Sporgono qua e là libri bruciati che rimandano alla frase di Emo che campeggia in alto. Il lavoro, costitu­ito da diverse parti legate tra loro, ha un an­damento circolare che accentua l’idea di una infinita spazialità.

I quadri esposti diventano angoscianti, perché gli spazi pittorici sono un tributo al grigio, al nero, a cromatismi che de­nunciano un’assoluta mancanza di vita. Tante sono le scarpe che affiorano sulla superficie dei dipinti, poi abiti e figure appena abbozza­te: tutto ha il sapore di un mondo andato di­strutto, di cui rimangono solo tracce, reperti. Una grande scala di legno, costituita da pezzi sovrapposti si arrampica su un muro sporca­to da colori che sanno di terra bruciata. Un semplice rimando biblico alla scala del sogno di Giacobbe? Oppure piuttosto una realistica constatazione di un’impossibile fuga dal reale e dal futuro, se l’azione dell’uomo non cam­bia? Il gigantismo del ciclo costruito da Kiefer regge degnamente il confronto con le opere della grande storia dell’arte che guardano dai soffitti e, dunque, questo “dialogo” è ulteriore invito a visitare la mostra che resterà aperta fino al 20 ottobre.

Mario Giannatiempo

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