Una sua opera di forma cubica, con un centimetro di lato, è inserita nel progetto Moon Gallery dell’astrofisico Bernard Foing, ed è già in volo per la Luna che verrà raggiunta dopo un viaggio in shuttle entro alcuni mesi. Alla straordinaria iniziativa sono stati invitati, dopo una severa selezione dell’ESA (Ente Spaziale Europeo) ben 100 artisti. Ma Lorenzo Viscidi Bluer ha una ultradecennale confidenza con il tema dell’infinito, che è la dimensione attraversata in tante occasioni di riflessione e di creazione di dipinti e sculture. Ora l’artista veneziano di nascita, padovano di elezione, “atterra” nella suggestiva sede espositiva di Ca’ Lozzio a Piavon di Oderzo (Treviso), con una rassegna personale dal 24 aprile al 22 maggio.
Ogni “poeta del colore e della materia” coltiva il suo sogno di raggiungere quella che per lui è la bellezza e lo pone a latitudini contigue con la propria coscienza etica ed estetica. La ricerca di Lorenzo Viscidi Bluer sposta continuamente verso l’alto l’orizzonte delle sue proiezioni emotive, prima ancora che sensoriali, e vola a velocità variabile in un universo dove luce, forza e colore giocano di volta in volta il ruolo di magiche combinazioni nella dinamica del quadro. Il discorso vale per la pittura ma anche per l’installazione e la scultura, dove un brano di realtà conosciuta o frammento di illusorietà cosmica si raddensa in una concrezione nata dall’idea della trasparenza e dall’impalpabilità.
Se la bellezza, come dice Kandinsky nel saggio Lo spirituale dell’arte, “deve ispirarsi al principio del valore interiore”, quella necessità sgorga dall’interno e si riversa sulla superficie dentro i moduli di una sensibilità che domina il colore, che conosce le regole della composizione, ma non può prevedere l’esito finale, in quanto l’opera, per risultare completa nella sua capacità di gratificare l’autore, deve produrre sorpresa per lui stesso. In questo senso la pittura di Lorenzo Viscidi Bluer è una sorta di isola di Atlantide, in cui va a prelevare la bellezza, farmaco utile a mettere in sordina le inquietudini del quotidiano, far uscire il soggetto creante dalla dimensione spazio-temporale e porlo in ascolto di melodie che capta da distanze astrali. Proprio qui la vigoria visionaria lo porta a percorrerle e a tradurre profondità di trasparenze, che nascono forse dalla memoria sempre presente degli abissi marini ma rimandano alle immensità dell’universo; là è continuamente proteso con il pensiero e con l’urgenza – che avverte spesso imperiosa – di staccarsi da una carnalità del vivere quotidiano per inebriarsi nella leggerezza del volo, del viaggio fantastico verso un infinito che non è sicuramente l’alternativa all’esistenza nel mondo, semmai il complemento necessitante per chi, come lui, apprezza le gioie della corporeità anche se convinto della sua fragile e precaria consistenza.
E allora l’arte, quella che è antidoto ai tremori esistenziali, diventa piattaforma felice per una fruizione del bello al quale l’artista invita l’osservatore, sospinto a perdersi nelle spire magmatiche di un colore che dà l’idea di un’ebollizione sotto pelle, di accenni a profondità misteriose, oppure di un sommovimento di correnti in quota che si incontrano rinforzando la propria corsa, si scontrano producendo vortici di luce, qualche altra volta di incandescenze derivate quasi da sussulti tellurici, che si acquietano nella “complessità simmetrica” del quadro, dove le resine sono distribuite sugli inchiostri e affrontate per sottrazione in varie zone del piano (inteso nel senso reale, dal momento che l’artista predilige il lavoro “corpo a corpo” con il supporto posto in orizzontale). Esso diventa soglia, limite valicabile verso un “oltre” che varia ovviamente secondo la spinta che l’osservatore riceve dalle sollecitazioni dell’opera. È quanto dicono anche le sculture che, nella loro valenza totemica, rimandano ad altrettanti microcosmi, creati dalla condensazione di una loro fase evolutiva in un invito dello sguardo a fluttuare nella trasparenza.
Le immagini parlano di un’energia che ha in sé il presagio di una metamorfosi, come se da un momento all’altro stesse per prendere corpo una presenza immediatamente leggibile. Dire peraltro che Lorenzo Viscidi Bluer è un artista astratto significa ridurre la vena torrenziale e deflagrante della sua pittura dentro un ristretto ambito concettuale e non tener conto del fatto che la sua riflessione e la sua azione procedono normalmente in contemporanea, cosicché l’opera non è “studiata” preventivamente nel senso classico, ma assume le sue determinazioni strada-facendo in un’esplorazione del possibile dentro la sfera dell’ineffabile e dell’invisibile. Pertanto c’è un elemento di congiunzione diretto tra la realtà percettibile con i sensi e quella “avvertita” nell’anima, dove le proiezioni dell’universo si raggrumano dando forma e contenuto alla qualità del pittore di essere artista nel senso pieno della parola, cioè capace di sperimentare prima di tutto in proprio quella emozione che trasmette con le sue porzioni di cielo a chi guarda.
Enzo Santese