
Le autrici l’hanno combinata bella, sul piano squisitamente culturale, ma non c’è dubbio, il loro è stato anche un tiro mancino alla paludata istituzione storiografica, così attenta finora a relegare il femminile tra le presenze il più delle volte solo accessorie nello sviluppo delle vicende che hanno visto Venezia imporsi sugli scenari socio-politici del Mediterraneo e oltre. Accomunate dalla professione giornalistica e dalla consuetudine con il pensiero tradotto nella prima, in esiti d’arte drammaturgica e poetica, e nella seconda in una connessione intermittente tra storia e favola, Antonella Barina e Daniela Zamburlin sono in realtà molto diverse per impostazione “filosofica” e per tensione operativa; proprio questa differenza va peraltro ad arricchire il comune impegno per il libro Donne Sante Dee.Guida ragionata alla città di Venezia (edizioni MarediCarta), che, in fondo, è uno strumento eccezionale per vivisezionare “chirurgicamente” la sostanza viva della città lagunare e farla pulsare di un ritmo diverso rispetto alla modalità con cui viene raccontata in forme paludate, illuminando quasi sempre la sacralità dei “soliti noti”. Le donne sono ora protagoniste assolute di questo volume, quelle della realtà viva e poi quelle della devozione religiosa e infine della mitologia.
Nella copertina firmata da Mita Barina Silvestri, la foto ritrae un dettaglio della fascia interna dell’arcone centrale della Basilica di San Marco, estremamente significativo anche per la capacità di sintetizzare nella metafora la linea significante primaria del libro: la Thetis che allatta il dragone, immagine della potenza creatrice e donatrice di vita.
Un ricco apparato iconografico (circa 500 fotografie di autori diversi e ritratti, mappe e vedute di una giovane artista spagnola Eva Martinez Souto) costituisce il supporto visivo di un percorso, fatto di tanti itinerari che si intersecano in una molteplicità di opzioni offerte a chi legge: in questo si può ingaggiare un vero e proprio rapporto interattivo con il volume, “costruendo” di volta in volta una diversa ipotesi di visita alla città. Per tale scopo sono utili indicatori di tempi e spazi una serie di preziosi dettagli che solita
mente sfuggono anche allo sguardo di persone che vivono a Venezia. Ma il tratto fondante del libro unisce in sé tensione saggistica, peculiarità narrativa, repertorio documentale e volo fantastico nelle lande del mito; da questo punto di vista, con la loro guida a quattro mani Barina e Zamburlin fanno viaggiare il lettore nelle intersezioni della storia e nei crogioli del mito, che trovano riscontro e hanno riverberi in realtà architettoniche puntualmente riproposte in un’analisi chiara (la scheda di destra è sempre riferita alla fisicità di chiese, palazzi, conventi, musei, oratori, isole, particolari ornamentali); così si aprono squarci su una Venezia fortemente impregnata dalla presenza del femminile, anche se mantenuta per troppo tempo in un cono d’ombra da storiografi che interpretano il loro studio come la focalizzazione dell’ovvio con il privilegio dello sguardo accordato acriticamente al maschile.
Enzo Santese
