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Dalla classicità l’energia per una ricognizione sull’oggi

L’etimo di Influssi (Macabor editore) porta direttamente al nocciolo di una questione, che è fondante in questa silloge: nel campo delle relazioni fisiche e spirituali contano in maniera preponderante gli apporti che pro­vengono da varie origini a una determinata sensibilità, facendola a volte virare verso di­rezioni insospettabili. Nella poetica di Ales­sandro Cabianca le suggestioni della classicità (che hanno dato l’avvio, per esempio ad opere come Medea, la perfezione dell’ombra, edizio­ni Youcanprint, 1998; Clitennestra – La saga degli Atridi, 2000; Antigone – Libertà e desti­no, 2010) sono frutto di un ampio patrimonio di idee assunto nello studio della cultura greca e latina e poi nell’approfondimento di temati­che legate alla letteratura italiana ed europea.

La poesia può essere presagio, prefigurazione di accadimenti che nell’oggi hanno le loro ra­dici generanti da cui, già nell’immediato futu­ro, scaturisce, per una misteriosa energia che è poi quella della natura, una serie di fasi mo­dificatorie capaci, a processo finito, di mante­nere la fragranza dell’origine pur con approdi formali visibili nella loro dilatata diversità. Il verso è duttile e diventa strumento efficace per “vedere” dentro le cose e conoscere il rit­mo del loro crescere fino all’approdo di una fi­nitezza che sfugge alla percezione immediata; in effetti la duplicità fisionomica induce talo­ra a una rilettura del testo per una focalizza­zione del senso ancora più nitida.

Il pensiero dell’autore vicentino può essere racchiuso gra­ficamente in una forma geometrica che al suo interno, con una scansione labirintica degli spazi, sospinge l’osservatore a cambiare con­tinuamente il percorso dello sguardo sfuggen­do al rischio di una perdurante erranza dentro l’ipotesi senza giungere mai alla dimostra­zione della tesi. Perciò la poesia di Cabianca apre orizzonti verso molteplici opzioni, senza mai avere la pretesa di essere risolutiva. Ma in ogni caso non è questo il compito di chi affi­da ai versi il proprio pensiero, casomai quel­lo di innescare – in senso interattivo – un dialogo con chi legge, autorizzato comunque sempre a pro­cedere da quel punto, la poesia, verso elaborazioni successive e conseguenti che poi gli appartengono a pieno. La sua disinvol­tura sta nel trascendere la dimensione del tempo ricorrendo all’arbitrio, denso di suggestione poe­tica, di un eterno presente al quale iscrivere anche il dato apparentemente effi­mero del quotidiano; così il ricordo è solo la “leva di estrazione” di situazio­ni, episodi e presenze da collocare sul palcosceni­co dell’attualità. Infatti ripercorre le tracce che nella loro dinamica costitutiva rammentano i passaggi di uomini, di eventi, di fenomeni naturali e li registra in un virtuale album privato da utilizzare ogni volta che il ricordo stesso lo stimola a organiz­zare un’avventura speculativa, dentro i valori espressi dai singoli riferimenti.

Anche quando il recupero memoriale sembra essere la scintilla per un processo di ricostruzione nell’itinerario esistenziale, è motivo per porre su una stes­sa linea virtuale passato e presente, esibendo i mutamenti nella possibilità comparativa di brani di natura, semplici cose, persone, affetti e stati d’animo. Uno di questi, potente nella spinta a inquadrare la fisicità nella sua essen­za, è il Canto d’amoredove il climax ascen­dente parte dalla “dolcezza nei tuoi occhi” passa poi alla “violenza e spasimi nel punto dell’eccitamento / che tende fibre e inarca mu­scoli” e con cadenzata ondularità arriva alla “malcelata indifferenza”, che prelude peraltro a una nuova accensione dei sensi.

LOLORELLA FERMO, Alessandro Cabianca e la classicità, cm 29,7 x 42, tecnica mista su carta, 2016

E i livelli di lettura vivono su una stratigrafia complessa per cui spesso paiono conte­nere l’avvertenza a un in­dugio sulle parole e sulle loro sfumature per inqua­drare il significato oltre il velo dell’apparenza, visi­bile al primo approccio. La triplice scansione dei testi (Metamorfosi, Mu­tamenti, Canti d’amore) non risponde solo a un’e­sigenza di omogeneità significante dei versi rag­gruppati nella sintonia dei temi e delle atmosfere, ma a una precisa artico­lazione del pensiero collo­cando nelle Metamorfosi i concetti che spesso zam­pillano da una ricognizio­ne della classicità; questa torna a farsi fonte di sollecitazioni concettuali connesse con l’idea di un percorso di crescita negli elementi fisici e dello spirito, inteso come l’universo più inter­no, quello che connota la personalità del sog­getto. La formazione di Cabianca si innesta profondamente nella classicità, dove peraltro le linee di intreccio e le presenze dominanti sono per il poeta l’occasione per un aggancio alla contemporaneità dopo un’analisi dagli esiti apparentemente speculari. In tal modo il poeta ripristina il dialogo dell’io con il mito, visto non più come un bacino di presenze em­blematiche e figure-incarnazioni della meta­fora, bensì un punto di partenza per un viag­gio nei territori a cui quei personaggi rinviano con il loro combustibile significante, alle più straordinarie avventure della fantasia, che è peraltro sequenza di immagini in movimento dalla classicità all’oggi.

La capacità di model­larlo secondo le spinte interiori lo sollecitano a imprimere una forma “altra”, non contra­ria, ma ingigantita dal mutevole cammino della cronaca. Ovidio sta sullo sfondo come scintilla d’innesco di un’orbita di riflessione sulle sorti dell’esistente nella concretezza del­la fisicità e nella rarefazione dell’astrattezza. I mutamenti sono evidenze rese ancor più esplicite dal loro collocarsi in abbinamenti antinomici (allegria/disallegria) giocando la cifra della loro sostanza concettuale dall’una all’altra polarità. Sempre saldamente ancora­to all’universo del finito, lo scrittore tocca e si addentra nelle prime propaggini dell’infinito senza perdersi nella retorica dell’abbandono al tutto, ma conservando chiara la memoria del ritorno nel mondo concreto, dove il sogget­to creante ha sempre la chiave per risolvere il problema dello spaesamento; il verso accarez­za la realtà in un tentativo, che, lungi dall’es­sere edulcorante, è adatto a togliere dalle cose il nascondimento della polvere che altera i lineamenti e rimarca la distanza dell’autore dalla tensione narcisistica in poesia, costante in tanta produzione contemporanea.

L’amore ha uno spazio del tutto rilevante, mai cantato come abbandono, ma adattato alle esigenze e durezze del quotidiano. La poesia diventa così autoritratto, racconto con testo e sottotesto, un vissuto individuale talvolta complicato dove un conto è quel che si scrive e un conto quel che si vive, la parola è espressa e inespressa, c’è un gioco di profondità e di sviamento. Lo schema delle opposizioni nasce dai Ching, li­bro sapienziale cinese, libro delle contrapposi­zioni, metro culturale e del vissuto, che agisce non in senso morale, come per noi occidenta­li, ma in senso naturale. I canti d’amore nella varietà dei loro toni costituiscono un policro­matico mosaico sentimentale in cui, nella tem­peratura diversa delle peculiarità, gli affetti si installano come tessere mobili e cangianti di una sensibilità vibratile; Cabianca lo dimostra dalla sua prima silloge fino ad oggi dove gli interessi eminentemente culturali sono molte­plici e sono sempre la filigrana di un pensiero disteso tra paesaggio interno ed esterno, con riverberi su ogni motivo il poeta vada a fissare lo sguardo, che è sempre sguardo dell’anima.

Enzo Santese

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