Home Letteratura Dentro e fuori dal Mito della Madre: Amore e Disamore

Dentro e fuori dal Mito della Madre: Amore e Disamore

Il primo “romanzo” della poetessa Maria Gra­zia Calandrone, Splendi Come Vita, uscito nel gennaio 2021 per Ponte delle Grazie, (già entrato tra i finalisti del Premio Strega), si fa testimone in modo originalissimo di una di­namica generazionale e famigliare, già di per sé quasi sempre conflittuale per molti, che la porta a rileggere e quindi a riscrivere, un altro pezzo della sua storia. Con concisi passaggi, l’autrice ci presen­ta quella fine e l’inizio al tempo stesso di un compimento, di un riconoscimento prezioso per ciascuno e ciascuna di noi. La scelta della giovane donna che deciderà di adottare, lei, bimba abbandonata di otto mesi, la vedrà oscillare tra Amore e Disamore. Già in quella decisione si percepisce lo spartiacque del mito della Madre, quel ruolo unico offerto alle donne e ripetuto nelle narrazioni di ogni tempo. L’Io narrante, dentro questo auto-rac­contarsi, cerca, non solo lo spazio e la ricom­posizione ma, direi, anche un riallacciamento con la storia di altre storie possibili quasi mai ufficiali. Una discesa che diventa piano piano una costante, rigogliosa e dolorosa salita verso la formazione e conoscenza di come questo, per dirla con Saffo, ‘amaro miele’, di cui la vita di noi mortali è intrisa, o Amore e Disa­more continuo, per dirla con Calandrone, ci accompagni e prenda l’anima ed il corpo.

Di come possa diventare materia stessa del rac­contarsi e raccontare quel puzzle di noi stesse che a nostra volta, probabilmente, lo è stato per qualcun’altra. La massima sapienziale del “conosci te stes­so” si ripropone con successo ben supporta­ta dalla filosofia femminista del “partire dal sé”. Quello che qui l’autrice intraprende, è un cammino che, come insegna Karen Blixen, può rivelare i punti essenziali del suo tragitto solo quando lo si è in qualche modo attraversato. Esso ne diventa occasione e necessità stessa ad indagare più a fondo relazioni o a porsi domande sottotraccia. Un inquieto ma con­trollato domandare Calandrone lo porge, per esempio, sullo stigma del sangue legato alla discendenza o appartenenza. Soppesa quanto possa essere più significante e significativo il contingente, la circostanza o ciò che da esse si riforma piuttosto che liquidarle con un più tranquillizzante zavorrale sanguigno. L’autrice dilata e condensa il suo vissuto con brevi ed incisive pennellate su ciò che quel tempo ha di sé stesso nutrito e l’ha nutrita, condita con un pizzico d’autoironia.

Ci svela non solo il suo mondo interno ma anche quello esterno con le sue culture, i canoni che più lo hanno caratterizzato. Le foto d’epoca, i ritagli di giornale, fortificano la narrazione di questo percorso esperienziale nelle sue brevi dodici sezioni, dandole un respiro singolare. Dentro questa sua “autobiografia” ritroviamo anima e corpo che arrivano attraverso un dialogare intimo, davanti a uno specchio, in un gioco di rimandi, opposizioni, incontri e separazioni, precise date a fissare tempi e luoghi. Le maiu­scole, la punteggiatura o gli “a capo inattesi” (intenzione dell’autrice ci segnala l’editore), qui usati con maestria, richiamano inevitabil­mente il fare poetico. Essi testimoniano come questa sua prosa non dimentichi affatto la sua vena poetica e, a riconferma, Calandrone chiude il “romanzo” con due testi poetici. Il tutto entra a disegnare e fissare i contorni, i contesti da cui tutto partì e a cui tutto ritorna. E come in ogni ricordo che si riaffaccia alla memoria, la cronologia ne segue un saltellante procedere che offre un certo ritmo a tutto lo stesso raccontare. Il libro è la risposta migliore a questo tempo sospeso che ancora si sta vivendo, un invito al ripensamento, al ritrovare un punto fermo ma per nulla scontato o sicuro da cui ripartire.

Un omaggio alla vita, tutto sommato, la luce da cui tutto s’illumina e tutto può essere illumi­nato. Questo romanzo-confessione, alla fine, riconferma la potenza della scrittura in quella sua capacità di reinventarsi aggregando stili e forme, una scrittura che vuole incidersi non solo sul corpo di donna, ma anche sulle me­morie e le loro continue risonanze che lascia in chiunque lo legga.

Anna Lombardo

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