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Lawrence, una giovinezza durata cent’anni

Il 22 febbraio 2021 ci ha lasciato il grande e versatile Lawrence Ferlinghetti, poco prima di compiere 102 anni: era nato il 24 marzo 1919 a Bronxville, nello stato di New York. Suo padre, italiano originario di Brescia, era emigrato negli Stati Uniti nel 1894 cambian­do il cognome italiano Ferlinghetti in Ferling, sua madre invece era di origini francesi, ebree sefardite e portoghesi (Lawrence si riappro­prierà del cognome italiano in occasione della pubblicazione della sua prima raccolta di po­esie). Il padre muore alcuni mesi prima della sua nascita e la madre è ricoverata in manico­mio; perciò il bambino è affidato a una zia che vive a Strasburgo, e lì trascorre l’infanzia e la prima giovinezza, studiando giornalismo. Du­rante la Seconda Guerra Mondiale, si arruo­la nella marina statunitense e partecipa allo sbarco in Normandia. Nel dopoguerra, si tra­sferisce a San Francisco, dove fonda nel 1953 la libreria City Lights Books, la prima di libri tascabili degli Stati Uniti, il cui nome è ispi­rato dall’omonimo film di Charlie Chaplin. Se la giovinezza è ricerca, gusto per l’avventura e curiosità, queste caratteristiche lo hanno ac­compagnato per tutta la sua lunga vita: inter­vistato in occasione del suo centesimo com­pleanno, affermava che gli scrittori non vanno mai in pensione, scrivono fino a quando sono in grado di tenere la penna in mano; il suo ul­timo romanzo Little Boy (2019) ne è la dimo­strazione. Eppure Lawrence Ferlinghetti non è stato solo poeta, romanziere, editore, libraio, pittore, ma molto di più: era uno spirito capa­ce di entusiasmarsi e di provare stupore, spe­rimentando i vari campi dell’arte e della cono­scenza.

Anarchico e libertario, si è esposto al punto di finire in prigione per aver pubblicato la poesia Urlo di Allen Ginsberg, considerata oscena. Eppure, pur essendo stato l’editore di Ginsberg, Kerouac, Burroughs, Corso e altri rappresentanti della Beat Generation, non si è mai considerato uno di loro. Le sue riflessioni poetiche su temi sociali e politici di carattere populista, insieme a una visione del mondo di matrice surrealista e gli influssi di T.S. Eliot e Whitman, lo allontanano dalla dimensione psichedelica, mistica ed estatica che contrad­distingue i beatniks. La sua raccolta di poesie più nota è A Coney Island of the Mind, pub­blicata nel 1958, ma voglio ricordarlo soprat­tutto per il suo primo romanzo Her (1960), tradotto dieci anni dopo da Floriana Bos­si e pubblicato in Italia da Einaudi che, pur se accolto freddamente dalla critica, è stato fondante per il mio immaginario; ricorda gli stilemi del Noveau Roman, ma è attraversato dall’inquieta ricerca di una mitologica figura adolescenziale, un archetipo femminile, capa­ce di restituire senso e valore alla vita. Sempre sfuggente e irraggiungibile, venuta da sempre e pronta a dissolversi, inseguita e vagheggiata dal protagonista del libro impegnato in una inesausta ricerca sulle sue tracce, Lei è l’unica che può permettere un ancoraggio in un uni­verso privo di Anima. Solo Lei è in grado di muovere il Mondo e di restituire significato e valore all’esistenza.

La lettura ipnotica, av­volgente di questo romanzo, che sto rileggen­do, continua ad affascinarmi col suo ritmo e mistero. La freschezza e l’entusiasmo, la per­sonalità magnetica di Lawrence Ferlinghetti saranno ricordate per sempre: in occasione del suo centesimo compleanno, il 24 marzo 2019 è stato istituito il “Lawrence Ferlinghetti Day” che celebrerà anche nei tempi a venire lo spi­rito giovane, appassionato e straordinario di questo meraviglioso personaggio, vissuto a ca­vallo tra due secoli e due millenni.

Lucia Guidorizzi

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