HomeLetteraturaL’attrazione fatale del “feminino”

L’attrazione fatale del “feminino”

Notevole il saggio di Letizia Lanza Variazio­ni Omeriche (e anguillesche), edizioni Super­nova, che affronta con un corredo ricchissi­mo di citazioni e riferimenti bibliografici tre diversi argomenti: Donne in amore, Fascina­zioni marine e Serpentini amplessi. C’è quasi da perdersi nel labirintico percorso dell’ope­ra che attraversa tutta la cultura del mondo antico, arrivando fino ai nostri giorni, spa­ziando dalla storia alle scienze, dalla filosofia alla religione. Però, pur nella straordinaria varietà dei documenti proposti, pur nell’ine­sausta ricerca di tracce che portano sempre a nuovi sentieri, c’è un elemento costante che scorre e lega tutto il saggio: la donna, vista nella sua complessa e spesso opposta natura di femmina di amore e di potere, dominata e dominatrice, operosa signora del focolare e artefice di inganni e sotterfugi. Un dualismo che sembra privilegiare l’interpretazione di un’ambigua posizione etico-morale piuttosto che quella di una indispensabile difesa con­tro una società maschilista. Il personaggio principale preso in esame nel primo capito­lo è Penelope, la moglie lasciata ad Itaca da Ulisse, impegnata per 20 anni in una dura lotta di madre, donna e regina. Contraddi­cendo l’immagine tradizionale di una don­na straordinaria che aspetta il marito fino all’inverosimile, nelle pagine del libro si fa strada un’altra lettura: una persona legata al potere e poco disposta a lasciarlo, sia al figlio che ai pretendenti (i famosi Proci). Lo stesso stratagemma della tela per Laerte, fatta e di­sfatta per ritardare le nuove nozze, secondo alcuni commentatori sembra ritorcersi con­tro lei stessa che appare colpevole di inganni fraudolenti proprio come Ulisse. Ma Pene­lope è donna e la macchinazione comporta per lei solo perdita di dignità, non il rispetto e l’ammirazione che le astuzie di Ulisse su­scitavano. Interessante anche il parallelismo proposto tra il viaggio “reale” dell’itacense e quello segreto della moglie, l’uno ha cono­sciuto il mondo, l’altra ha preso coscienza di sé, dei suoi limiti e dei suoi diritti. Ma tutti e due, anche nel ricongiungimento e nell’amo­re ritrovato, non saranno più quelli di prima dell’identità riconosciuta. Fascinazioni marine ruota intorno al mito delle Sirene, ne esplora capacità di fascina­zione mortale e offusca di nuovo immaginari già consolidati: non più un Ulisse coraggio­so che sfida l’incontro con l’ignoto ricorren­do all’astuzia della cera per i compagni e la fune che lo lega all’albero della nave per sé, ma un eroe rinunciatario che non accetta la sfida e avvilisce l’incontro con il destino con una misera furbizia. Di contro il saggio resti­tuisce dignità a queste mitiche figure marine e ridimensiona il gesto dell’eroe greco, la cui astuzia non ha più nulla di eroico. Le pagi­ne indagano la natura delle sirene, vagliando le diverse ipotesi di commentatori antichi e moderni che parlano di bimorfismo, ornito­morfismo, zoomorfismo, ma l’elemento che riconduce all’unità è di nuovo il dualismo, l’ambivalenza donna-pesce, che seduce e uc­cide (amore e morte). Lo stesso canto delle sirene appare coinvolto e travolto in questa lettura: canto di morte e di vita, di conoscen­za e annientamento e Ulisse ha perso la pos­sibilità di scoprire questo segreto perché si è sottratto al confronto. Dunque anche prima della morale cristiana il mondo antico vede­va nella doppia natura femminile di donna-animale un pericolo mortale per l’uomo: il male (la bestia) vestiva i panni femminili per corrompere l‘uomo. Questa condizione ambigua dell’immaginario feminino ritorna anche nell’ultimo capitolo dedicato ai ser­pentini amplessi. In quello che sembra una ricerca erpetologica su come gli antichi han­no vissuto il confronto con i rettili nella vita e nel mito, prende progressivamente corpo il ricorrente bimorfismo della donna serpente che avvince e uccide e quando non uccide fisicamente corrompe e rovina. Un libro in­teressante, che racconta altri libri, di un’au­trice colta che ospita nelle sue pagine ama­bilmente e ininterrottamente altri autori, ai quali cede spesso la parola come ad amici vecchi e nuovi senza il contributo dei quali nessuna conversazione potrebbe risultare in­teressante.

Mario Giannatiempo

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