Ci sono molte cose in questo libro, forse addirittura troppe per chi non abbia uno smisurato appetito letterario o non vada ghiottissimo di scrittori veneti. Nicola De Cilia, tuttavia, è studioso raffinato e riesce a coinvolgere il lettore dalla prima all’ultima pagina di questo suo “Saturnini, malinconici, un po’ deliranti. Incontri in terra veneta”, Ronzani Editore, 2018.Fin dal titolo, preso a prestito da una riflessione di Guido Piovene, l’autore ci accompagna nel mondo degli scrittori veneti, in cui caratteri lunatici e umbratili convivono con l’apparente socievolezza di quella terra.È questo uno dei temi trattati nel libro, ma non il più importante. Protagonista è, invece, il paesaggio e, più segnatamente, il rapporto viscerale che con esso hanno gli scrittori veneti del secondo Novecento. Alcuni degli scrittori in questione De Cilia li ha incontrati personalmente, altri, ed è il caso di Andrea Zanzotto, Mario Rigoni Stern, Nico Naldini, Luciano Cecchinel, li ha intervistati. Insieme con la comune provenienza geografica è proprio il rapporto con il paesaggio, con l’unicità di una terra dalle mille contraddizioni, il carattere distintivo che permette di inserire in una categoria gli scrittori e la scrittura veneta.Ma vi è un altro tema, non meno importante, che l’autore svela nel contributo conclusivo – una sorta di postfazione che è anche sintesi e dichiarazione di intenti – ed è quello della lingua. Gli scrittori veneti, infatti “…declinano la lingua in un idioma perfettamente riconoscibile”, di cui pare perfino di avvertire le “sfumature gergali e le sonorità dialettali”. Intorno a queste idee guida si snoda un itinerario in cui incontriamo, nel primo capitolo, due storie solo apparentemente dissonanti: quelle di Antonio Giuriolo e Antonio Adami, figure tra loro assai diverse, accomunate dall’esperienza resistenziale, le cui voci obliate torniamo ad ascoltare grazie alle parole potenti di Andrea Zanzotto. Entrambi rappresentano un modello di comportamento che unisce cultura e vita morale, ma ancor più del “piccolo maestro” Giuriolo, colpisce Adami, una sorta di Socrate delle colline trevigiane in cui marxismo e cristianesimo convivono costituendo il presupposto ideale per una Resistenza non violenta. La mappa letteraria che l’autore dispiega sulla scrivania a partire dal secondo capitolo ci presenta i più importanti scrittori veneti del ‘900.Incontriamo così i mostri sacri, sorta di pietre angolari della letteratura regionale, il già citato Andrea Zanzotto, Luigi Meneghello, Mario Rigoni Stern. Non meno importanti sono le pagine su Guido Piovene, che percepisce il paesaggio veneto come una rielaborazione artistica dei pittori che lo raffigurarono, su Giuseppe Comisso, che di paesaggio vive, al punto di affermare che “l’uomo è uno specchio del paesaggio”, su Goffredo Parise, che nella casa di Salgareda ritrova spiragli di serenità, su Giuseppe Berto, per cui il paesaggio è fonte di consolazione. Non mancano incontri con autori meno conosciuti, ma portatori di una comune, rilevante testimonianza, quali Fernando Bandini, Virgilio Scapin, Bino Rebellato, di cui vengono tratteggiati rapidi bozzetti. Sono invece veri e propri ritratti quelli che De Cilia ci restituisce attraverso le interviste a Zanzotto e Rigoni Stern. Il primo giganteggia nella consapevolezza che, alla fine: “La poesia dice quello che deve dire”, il secondo nella convinzione che esista un’istanza etica: difendendo il paesaggio, si difende l’uomo. Il tema del consumo del territorio, del paesaggio oltraggiato accomuna Zanzotto all’autore del “Sergente”. Di entrambi tocchiamo con mano la grande umanità, amplificata da una ipersensibilità, prodotto di una vecchiaia non priva di acciacchi, eppure ricca di visioni profetiche. Notevoli le pagine in cui Rigoni Stern ricorda la genesi editoriale del Sergente; ma a colpire è soprattutto il ricordo dei due “grandi vecchi”, voci fuori dal coro “ostinate a sperare, a sfidare l’orribile trasformazione” del paesaggio, dei luoghi e delle stesse persone, che De Cilia ci regala in pagine non prive di lirismo. Viene voglia, terminata la lettura, di salire ad Asolo e, lì giunti, respirare l’atmosfera degli antichi palazzi, per poi proseguire lentamente fin sulla Forcella Mostaccin, fermandosi ad osservare l’altopiano di Asiago, il Monte Grappa, le colline di Valdobbiadene, il Piave, ripercorrendo con lo sguardo i luoghi degli autori che in queste pagine prendono voce.
Carlo Toniato