Il debito della poesia italiana delle origini nei confronti dei trovatori provenzali è assai rilevante. Il primo a riconoscerlo è Dante Alighieri.
1) Innanzitutto per la scelta della lingua volgare, primo passo per una poesia che non sia solo delle élite colte ma che possa essere compresa da un pubblico più vasto e, per la scelta della forma canzone, cioè del canto e dell’accompagnamento musicale, anche dal popolo.
2) per la scelta della rima, presente, fin dai secoli precedenti il mille, nei proverbi, nei motti di tono popolaresco e, soprattutto, nella scrittura degli inni religiosi. Questa scelta, fatta per prima dalla
chiesa in ambito liturgico, utilizzava però la lingua latina, mentre con i trovatori provenzali si sceglie la lingua volgare e la combinazione di parole/rima alla fine dei versi caratterizza la poesia profana, con ritmi regolari e forme costanti, dette stanze, per le canzoni.
3) Lingua volgare e rima sono le caratteristiche che passano dalla poesia delle corti feudali alla poesia della corte imperiale, con il passaggio dalla lingua provenzale, universale nelle corti feudali,
alla lingua siciliana alla corte di Federico II di Svevia, re di Sicilia e imperatore, con alcune altre differenze significative: cessano i sirventesi, tipicamente di polemica politica, poiché in una corte monocratica non può esistere contraddittorio, ma solo poesia lirica; scompare anche l’accompagnamento musicale poiché la poesia da fatto pubblico tende a farsi fatto individuale, privato, non a caso da alti funzionari della magna curia scritta più di frequente a tergo di atti pubblici.
4) Ne consegue la predominanza dei temi amorosi e, poiché la poesia del tempo è di dominio maschile, la donna ne diviene il centro attorno a cui ruota la ispirazione.
5) Nelle corti feudali erano spesso, con alcune importanti eccezioni, nobili di rango inferiore che, attraverso la poesia, puntavano a elevarsi in grado, a farsi accogliere da nobili di rango superiore esaltandone le mogli o le figlie in una sorta di “casto” corteggiamento che diveniva vaneggiamento
o follia amorosa poiché la donna “amata” era sempre sposata e quindi raggiungibile solo nella fantasia. Quindi l’esaltazione della donna come oggetto di elevazione, o, se si vuole, come oggetto
sessuale inconfessato perché non raggiungibile, apriva le porte alle successive trasformazioni di
quel tema che diventò, semplificando, l’idealizzazione della donna dei siciliani e la donna angelicata del Dolce stil novo e di Dante.
6) Un’ultima annotazione: è alla corte dei Da Romano, di Alberico, poeta in lingua provenzale, in particolare a Treviso, e comunque in area veneta, che vengono, come da Gianfranco Folena e dai maggiori studiosi documentato, redatti un manualetto dell’amor cortese (Ensenhamen d’onor), il glossario della lingua provenzale (Donatz proensals), alcune vite dei trovatori (vidas) e la premessa a varie canzoni (razos) oltre ad alcune importanti raccolte di poesie dei trovatori, sicuramente il Liber Alberici, oggi parte del Canzoniere estense conservato presso la biblioteca di Modena. I più accreditati estensori di questi lavori sono Uc de Saint Circ e Guilhem de la Tor, entrambi dalla Provenza ospitati a Treviso.
Quindi la nascita della poesia italiana ha non due, ma tre tappe:
1) la poesia dei trovatori dalla Provenza all’Italia, dal Veneto e da Treviso in particolare, che passa temi e strutture alla Corte imperiale attraverso i funzionari di Federico II, molti dei quali scrivono anche in provenzale.
2) la poesia della cosiddetta Scuola siciliana, poi fagocitata da trascrittori, “traduttori”, toscani al punto che abbiamo pochissimi testi nella lingua originale; 3) la poesia del Dolce stil novo e di Dante.
In sintesi: il provenzale del 1200 era lingua nota nelle corti feudali, un po’, se non è paragone troppo azzardato, come il francese burocratico del ‘700/’800 o come l’inglese di oggi; non è troppo diverso dalle antiche lingue volgari italiane e molte parole sono ancora oggi riconoscibili a una prima lettura come dimostra l’esempio che segue:
Ca vei la lauzeta di Bernart de Ventadorn (ante 1200)
de joi sas alas contra.l rai, [per la gioia le sue ali contro il sole]
que s’oblid’ e.s laissa chazer [che s’oblia e si lascia cadere]
per la doussor c’al cor li vai [per la dolcezza che le va al cuore]
ai, tan grans enveya m’en ve ah! [sì grande invidia me ne viene]
de cui qu’eu veya jauzion, [di chiunque io veda gioioso]
meravilhas ai, car desse [che mi meraviglio che adesso]
lo cor de dezirer no.m fon. [il cuore non si sciolga di desiderio. non mi si fonda per il desiderio]
A riprova, ecco la somiglianza tra parole provenzali e l’italiano di oggi: mover = muovere; joi = gioia; alas = ali; contra’l rai = contro il raggio (del sole); oblid = oblia; chazer = cadere; doussor = dolcezza; enveya = invidia; m’en ve = me ne viene; meravilhas = meraviglia; dezirer = desiderare etc.