Home Letteratura Un microcosmo ricco e variopinto raccontato con elegante ironia

Un microcosmo ricco e variopinto raccontato con elegante ironia

Enrico Grandesso
Enrico Grandesso

La provincia veneta, proverbialmente definita nel passato “provincia bianca” per la sua prevalenza democristiana contrapposta al comunismo della “rossa” Emilia-Romagna, è già stata rappresentata magistralmente in letteratura (ad esempio nelle pagine del vicentino Goffredo Parise) e nel cinema (penso al film Il commissario Pepe interpretato da Ugo Tognazzi) nel suo inestricabile intreccio di perbenismo e trasgressione, di sghei e mona per dirla in modo più concreto e in quel vernacolo che torna spesso (dall’intercalare frequente ciò alle esclamazioni come ostrega) nelle pagine del recente libro d’esordio in narrativa di Enrico Grandesso: I dettagli sono importanti (Castelfranco Veneto, Biblioteca dei Leoni; in copertina Lungo il filo del blu, una fotografia evocativa di Alexandra Mitakidis). Nei dodici racconti che lo formano, lo scenario prevalente è proprio una mai nominata cittadina veneta che risulta poi essere l’emblema della provincia italiana, di quella periferia dai limiti non solo geografici ben definiti, punto di partenza per viaggi quasi sempre progettati e rimasti virtuali, quel mondo abitudinario e piccolo (per dirla alla Guareschi, che pure una cittadina della bassa padana aveva scelto come costante scenario) dal quale evadere è un sogno costante; e allora non si può non pensare ai Vitelloni di Fellini domandandosi però quanto è cambiato quel mondo da allora, agli inizi degli anni Cinquanta. Certo, il dopoguerra è un lontano ricordo, ma ci sono altri e diversamente sconvolgenti sfaceli attuali, come quella drammatica crisi economica e bancaria che è il tema di uno dei più densi e ben articolati racconti del libro (intitolato Fare) che nel protagonista Marangon presenta il prototipo esasperato della vittima del malaffare che imperversa nella nostra società corrotta.
Ed entriamo così nel vivo dei racconti di Grandesso, caratterizzati dalla varietà di toni; e se di fatto l’ironia, talora con punte quasi goliardiche (e questo spiega il frequente ricorso al dialetto in una dimensione scherzosa), a una prima lettura risulta il tono prevalente, non mancano però i momenti lirici, come nel breve intermezzo Nei portici lunghi; e neppure mancano le riflessioni esistenziali, come nell’epilogo a sorpresa di Brezza d’agosto. E poi si allinea una galleria spassosa (e spesso deprimente) di “tipi” caricaturalmente disegnati: dal Divo “de Roma” che (in Poca schiuma, mi raccomando) si degna di manifestarsi con tutta la sua smaccata supponenza in un’occasione pseudoculturale della cittadina veneta al turista tedesco (in Santi e madonne) dall’aspetto svagato ma di fatto farabutto, per giungere (in Un che di romantico) al rampollo arricchito che, forte della sua Lamborghini, è convinto di avere ai suoi piedi tutte le donne fino a che queste, conoscendolo oltre le apparenze, se ne liberano in fretta; anche perché serpeggia in lui, e non solo in lui ma pare anzi piuttosto diffuso nella matrice prevalente della cittadina, un più o meno inconfessato razzismo che qua e là si rivela nelle sue accezioni più odiose.

Enrico Grandesso I dettagli sono importanti
Enrico Grandesso: I dettagli sono importanti

Accennavo ai “tipi”, ma ancor meglio sarebbe dire che Grandesso esplora i diversi ambiti e livelli della realtà della sua provincia, dove pure è onnipresente la vocazione al pettegolezzo; e così partecipiamo subito ad una rumorosa festa di compleanno (in Radio California, già perché “El Veneto xe la California d’Italia, cioè d’Europa”), incontriamo poi il mondo dell’associazionismo e del giornalismo (in Chiuso per ferie), quindi ci troviamo nel bel mezzo della campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento (in Ci vuole… personalità!) condotta all’insegna del motto “Gli ottimisti vivono sempre bene” e quindi tra i dilettanti allo sbaraglio cultori della musica ma rifiutati dall’aridità dei compaesani (in Jazz e lucaniche). E così, un po’ alla volta si disegna un microcosmo ricco e variopinto, spesso rappresentato attraverso dialoghi non immuni non solo dal dialetto (ma non mancano neppure citazioni latine e di altri dialetti, tanto che per maggiore chiarezza il libro si chiude con un utile glossarietto dei termini dialettali) ma neppure dai linguaggi triviali degli avventori dei bar, sempre molto sensibili alle tette delle cameriere, e da quelli ultramoderni dei giovani delle ultime generazioni, con ciò rivelando il grande lavoro svolto dall’autore proprio sul linguaggio, come fondamentale elemento connotativo di chi lo usa. E così, nella vivace alternanza di toni e di linguaggi, di soggetti e di problematiche collocate peraltro all’interno di uno stesso scenario analizzato con microscopica attenzione (ecco allora perché “i dettagli sono importanti”) e acutezza ironica, Grandesso ha saputo creare con questi dodici racconti un microcosmo compiuto e ricco, realizzando così un libro d’esordio che rappresenta la migliore premessa per un originale futuro percorso narrativo.
Francesco De Nicola

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