Dopo due anni di forzata sedentarietà dovuta alla pandemia, ho sentito che dovevo riprendere il Cammino e spingermi verso le contrade estreme dell’Occidente. Cosa spinge ad avventurarsi nei luoghi remoti della Galizia spagnola (esiste un altro territorio con questo stesso nome, vero e proprio crocevia dell’Europa centrale e orientale che si situa all’incirca tra la Polonia e l’Ucraina), cosa induce a farsi viandanti inoltrandosi nella solitudine di boschi profondi e silenziosi?

Credo che sia una filosofica propensione verso il Nulla inteso come esercizio di pensiero e di vertigine, un amore per quello che in lingua spagnola e gallega è il Nada, quel Nada in cui il grande mistico San Juan de la Cruz riconosceva il Tutto.
Come un magnete irresistibile si è attratti verso questi luoghi dalla promessa di aperture e sguardi su un Altrove inimmaginabile. Si tratta di un antico e potente richiamo che alimenta il desiderio di sparire a se stessi e agli altri, per camminare dentro queste foreste interiori, per ascoltare il rumore delle cortecce che si staccano dai tronchi degli alberi, osservando i fiori violetti della digitale purpurea, quelli gialli della ginestra e del senecio (chiamato “hierba de Santiago”), inebriandosi dei profumi che emana la terra: immersi in queste meraviglie si giunge alla soglia estrema che introduce all’Infinito.
Si cammina nell’ultimo avamposto dell’Occidente d’Europa, paese di ombre e di fantasmi, limite e soglia, inoltrandosi per le antiche vie dei Morti che già in epoche remote erano percorse da camminanti desiderosi di raggiungere la Fine del Mondo. Ancor oggi, quando si vuole definire qualcosa che non ha paragoni per bellezza e intensità si usa l’espressione “è la fine del mondo” e in effetti Finisterre, offre le meraviglie del lontano: a qualche chilometro dal paese su un promontorio un Faro si erge davanti a un Oceano vasto, misterioso e schiumante come il nostro inconscio.
In prossimità del faro si stagliano Las Piedras Santas, oggetto di antiche leggende, sulle quali si dice riposò la Madonna. Immersi in una natura generosa e selvaggia, circondati da rocce dalle forme bizzarre che sprigionano energie misteriose, si rimane sedotti da questi luoghi che si radicano profondamente nell’immaginario. La statua intensa e drammatica del Cristo di Finisterre, che si trova all’interno della Iglesia de Nosa Señora das Areas, non lontana dal Faro, è chiamata anche Cristo dalla Barba Dorata ed è fonte d’innumerevoli leggende. Dicono che sia giunta a Finisterre trascinata dalle onde dell’Oceano, e che i capelli e le unghie le crescano, come al Cristo che si trova nella Cattedrale di Burgos, con cui presenta numerose affinità.
Dopo Finisterre ci si spinge fino a Muxia, il punto più occidentale della Spagna culminante con capo Touriñán. Si cammina dentro boschi che diradano sulla costa impervia, affacciata su spiagge di sabbia bianchissima, dove l’Atlantico sprigiona le sue seduzioni più vorticose. La costa di questa parte della Galizia è chiamata della Morte, poichè moltissime navi, a causa della violenza delle correnti, vi fanno naufragio.
Sulla punta estrema del promontorio sorge il santuario della Virxe da Barca, di fronte a un celebre luogo di culto megalitico, incentrato sulla Pedra de Abalar, pietra oscillante, sotto la quale passano le donne che desiderano la fertilità. Il 25 dicembre del 2013 il santuario è stato colpito da un fulmine che ha provocato un incendio distruggendo il tetto e lo splendido retablo ligneo dell’Altar Maggiore: nel 2015 si sono conclusi i lavori per la sua ricostruzione. All’interno della chiesa vi sono moltissimi ex-voto in forma di navi, come ringraziamento di quanti sono scampati al naufragio.
Nei pressi del Santuario si staglia un suggestivo monumento, un megalite spezzato al centro, chiamato La Herida (la Ferita), in ricordo del naufragio della petroliera Prestige, avvenuto nel 2002 che causò un vero e proprio disastro ambientale.
Mi sono chiesta molte volte cosa governa questo impulso da parte di persone di ogni nazionalità, età, condizione, ad abbandonare la propria casa, le proprie abitudini, per dirigersi verso questi luoghi: non è una moda, una tendenza, un fatto culturale o turistico, una prestazione sportiva, una forma di devozione, è molto di meno e molto di più: è riconoscere il proprio desiderio e condurlo alla sua realizzazione. È entrare in un magico flusso in cui tutto è possibile, essere pellegrini in Galizia è una convocazione, una chiamata ineludibile.
Non si rimane delusi nell’assecondare questa chiamata e sempre si manifestano segni che parlano con la forza del simbolo: quando sono giunta a Finisterre, in prossimità del Faro ho visto una montagnola di terra tremare, era una talpa che stava per affiorare dal terreno, per vedere la luce. Si è trattato di un messaggio forte e potente, emblema di come si possa venire alla luce sulla Costa della Morte, a Finisterre. Si è trattato di un invito a nascere in queste terre dell’Oltre, proprio lì dove tramonta il Sole e finisce il Mondo.
Lucia Guidorizzi