La rivista scientifica Plos one ha dato risalto a una eccezionale scoperta fatta nel sito archeologico di Ercolano: il ritrovamento di neuroni umani ancora attivi nei resti di una vittima dell’eruzione del Vesuvio, che nel 79 d. C. aveva seppellito Ercolano e Pompei sotto montagne di ceneri ardenti. Le cellule appartengono forse al Custode del Collegio degli Augustali, sorpreso nel suo letto dalla nube piroplastica scesa dal Vesuvio. Finora sia a Pompei che a Ercolano sono state trovate diverse salme carbonizzate, ricostruite attraverso la tecnica del calco inventata nel 1863 da Giuseppe Fiorelli, allora direttore degli scavi del sito archeologico. Ma la scoperta della presenza di neuroni, successo tutto italiano, fatta attraverso uno studio diretto dall’antropologo Pier Paolo Petrone in collaborazione con un team di specialisti di diverse discipline, ci ricorda che le nostre conoscenze sulle eruzioni e i loro effetti sono da aggiornare e rivedere. Il processo di vetrificazione che ha bloccato e conservato i neuroni riapre il discorso scientifico sulle fasi di riscaldamento e raffreddamento dei materiali eruttivi, spingendo a nuove valutazioni su tempi ed effetti sia su materiali inerti che sulle forme di vita. Il ritrovamento di cellule specialistiche e raffinate come quelle del cervello, spingerà forse la biomedicina a studi avanzati che nemmeno possiamo immaginare.
Sull’eruzione del Vesuvio ci aveva già dato pagine meravigliose Plinio il Giovane, che si trovava allora con la madre a Capo Miseno, a 15 chilometri da Napoli. Descrivendo diversi momenti dell’eruzione e gli ultimi attimi di vita dello zio, il naturalista Plinio il Vecchio, che perse la vita proprio nel tentativo di seguire da vicino l’evento catastrofico, così scriveva: “Egressi tecta consistimus: multa ibi miranda, multas formidines patimur. Nam vehicla quae produci iusseramus, quamquam in planissimo campo, in contrarias partes agebantur, ac ne lapidibus quidem fulta in eodem vestigio quiescebant. Praeterea mare in se resorberi e tremore terrae quasi repelli videbamus. Certe processerat litus, multaque animalia maris siccis arenis detinebat. Ab altero latere nubes atra e horrenda ignei spiritus tortis vibratisque discursibus rupta, in longas flammarum figuras dehiscebat: fulgoribus illae et similes et maiores erant. / Usciti dall’abitato ci fermiamo; qui vediamo molte cose straordinarie, viviamo molti momenti di paura. Infatti i carri che avevamo raccomandato di portare fuori, benché in un terreno del tutto piano, venivano spinti in diverse direzioni e bloccati con pietre non restavano fermi nello stesso punto. Inoltre vedevamo il mare ritirarsi in sé stesso e quasi essere respinto dal tremore della terra. Certamente il litorale era venuto in avanti e presentava molti pesci nelle sabbie asciutte. Dall’altro lato una nube nera e spaventosa, attraversata da vortici contorti e lampeggianti di aria infuocata…”. Al terremoto, alle nubi ardenti si aggiunge anche il maremoto!
Sicuramente l’eruzione e la distruzione che ne seguì colpì tutti, specialmente poeti e scrittori. Così Marziale si esprimeva in un suo epigramma (lib. iv. ep. 44.): hic est pampineis viridis modo Vesbius umbris/ presserat hic madidos nobilis uva lacus:/haec iura, quam Nysae colles plus Bacchus amavit, / hic nuper Satyri monte dedere choros./ haec Veneris sedes, Lacedaemone gratior illi/hic locus Herculeo nomine clarus erat,/ cuncta iacent flammis et tristi mersa favilla:/nec superi vellent hoc licuisse sibi. / Ecco il Vesuvio un tempo verdeggiante per folti vigneti, qui un’uva prelibata riempì tini colmi, Bacco amò queste colline più dei colli di Nysa, qui fino a poco tempo fa i Satiri guidarono le danze, qui la sede di Venere, a lei più gradita di Sparta, questo luogo era famoso per il culto di Ercole. Ora tutto è abbattuto distrutto dalle fiamme e da una nera cenere. Nemmeno gli dei avrebbero voluto che fosse stato permesso a loro di fare questo.
Tranne pochi accenni, su Pompei ed Ercolano scende un silenzio che durerà secoli. Solo i tombaroli ne conserveranno la memoria, per saccheggiare e rivendere ciò che portavano alla luce. Oggi tutti possiamo vedere da vicino i resti di una ricca vita sociale cancellata in poche ore. Ma i lavori di scavo non sono finiti. Buona parte dell’antica Ercolano è seppellita sotto una montagna di terra su cui sono stati erette costruzioni moderne. Là si nascondono sicuramente altri segreti che vale la pena di scoprire per conoscere meglio la storia passata e forse anticipare quella futura, perché tutta la zona da Campi Flegrei al Vesuvio di Napoli è una immensa caldera attiva e pericolosa. Fino a quel fatidico giorno del 79 d.C. gli abitanti di queste terre non conoscevano la pericolosità del luogo in cui vivevano ma noi non potremo dire: non sapevamo!
Mario Giannatiempo