La cultura riparte a Napoli dal 5 settembre con una grande mostra di Marina Abramović, ospitata nel Castel dell’Ovo. L’evento proporrà con allestimenti suggestivi e maxi schermi tre video che l’artista ha dedicato a S. Teresa d’Avila in un progetto denominato Estasi. La scelta del nome non è casuale, perché rimanda a una condizione psichica e fisica extracorporea cercata spesso dalla performer per dare alle sue esibizioni un’atmosfera surreale, non religiosa ma comunque dissociativa. L’artista nata a Belgrado è ormai una star internazionale, la più famosa nel campo della performance art, una disciplina artistica affermatasi a partire dagli anni ’50.
Ha ottenuto nel tempo riconoscimenti di tutto prestigio e continua a stupire, sconvolgere il pubblico con provocazioni estreme che lasciano il segno sia su di lei che su chi assiste. Cominciò nel lontano 1973 proprio a Napoli, nella Galleria Studio Morra con Rhythm 10, una performance dura e cruda nella quale l’artista tormentava la sua mano giocando con coltelli che, calati a super velocità tra gli spazi vuoti delle dita aperte e poggiate sul piano, inevitabilmente finivano per ferire e lacerare la pelle. La performance durò 6 ore e la mano di Abramović era alla fine coperta di tagli e di sangue. L’artista aveva solo 27 anni, ma ancora adesso, a 73 anni, sostiene un pensiero per il quale la performance, la live art o action art, è una condizione di forte emozione personale e collettiva. Una sorta di ritualità sciamanica adattata al mondo occidentale, alla cultura del terzo millennio, alimentata dalle contraddizioni e dalle ipocrisie di un moralismo di facciata che si regge solo sulle convenzioni. Abramović scava nella natura umana, mettendo a nudo innanzitutto se stessa poi gli altri, offrendosi come tramite e insieme cavia, vittima sacrificale e medium, per portare alla luce ciò che normalmente nascondiamo.
Per giungere a questo esito bisogna che le performance abbiano due caratteristiche: una durata esagerata che sfianchi e insieme esasperi le pulsioni nascoste (le esibizioni durano sempre molte ore o giorni) una dilatazione dei limiti, o per meglio dire un superamento di ogni limite per dare vita ad una condizione di eccezionale anarchia o trasgressività (talvolta la donna ha permesso sul suo corpo violenze esagerate, ed è stata salvata solo dall’intervento di spettatori pietosi o dal gallerista, spaventato dalla piega imprevista dei fatti. Come in Rhythm 0). Non tutti i suoi eventi artistici sono violenti ma tutti sono contraddistinti da una ricerca ostinata di una liberazione, di un abbandono degli stereotipi, di una dissacrazione dei tabù, di una rottura degli schemi, il passaggio da una dimensione materica ad una extrasensoriale. Come in un laboratorio aperto, trasparente e condiviso dal pubblico, Marina crea le condizioni estreme di un esperimento che diventa unico perché irripetibile, straordinario e allora artistico, documentabile e pertanto scientifico. Un evento nel quale tutti sono invitati a essere attori nella misura delle proprie pulsioni. Di qui l’altra caratteristica dello stile di questa performer: l’interazione, il rapporto con il pubblico che non assiste ma agisce, si mette in gioco, accetta di fare un percorso temporaneo con lei, un breve viaggio esplorativo con esiti talora imprevisti. “Se qualcuno mi affida il suo tempo, io lo trasformerò in esperienza” ebbe a dire la stessa artista in un’intervista.
Quale il senso della ricerca di Abramović e quale il rapporto con l’arte? Il genio di Marina si esprime attraverso la passione per l’azione e il gesto, che perdono la loro connotazione usuale di sterili atteggiamenti comportamentali per diventare simbolici, creativi perché unici, perfetti, realizzati nelle forme e nei fini cercati. A sostegno della ricerca dell’artista serba gli studi della sociologa Nathalie Heinich sul valore dell’arte contemporanea, quelli del filosofo Maurice Merleau-Ponty sulla fenomenologia e la corporeità, di Freud sull’inconscio, dell’artista Breton su arte e comunicazione. Senza questi e tanti altri supporti la ricerca di Marina potrebbe apparire una somma di provocazioni di un’artista ammalata di protagonismo fino all’autolesionismo, mentre esprime in pieno una creatività che attinge dall’esperienza per diventare nuova comunicazione e nuova arte. Ormai i video che documentano le sue performances sono veri e propri cult della action art, (Rythm 10, 5, 0, Art Must Be Beautiful, Freeing The Body, Art Must Be Beautiful, Imponderabilia fino a The artist is present del 2010 ed oltre). Sicuramente anche con Estasi l’artista non mancherà di stupire e lasciare un segno che difficilmente potremo cancellare dai nostri occhi e dalla nostra memoria.
Mario Giannatiempo