Provate a domandare a un etiope “Da quanto esiste l’Etiopia?” e vi risponderà con orgoglio “Da sempre!” e ha ragione perché viene già ricordata da Omero nell’Iliade e da Erodoto, che la situa a Est del Nilo. Greci e Romani col toponimo di Aethiopia indicavano quella parte dell’Africa conosciuta come terra abitata. Quando se ne parla non si può fare a meno di pensare alla Regina di Saba e a suo figlio Menelik, capostipite della dinastia salomonica di cui il negus Hailè Selassiè è stato l’ultimo discendente. In Etiopia si colloca il regno misterioso di Prete Gianni, sacerdote e re cristiano, i cui contorni sfumano nella leggenda. Nel XV secolo re Giovanni II del Portogallo inviò un’ambasceria in Egitto per scoprire dove si trovasse questo regno favoloso. I suoi delegati raggiunsero l’Etiopia ed effettivamente trovarono un popolo di cristiani sottomessi a un Negus che si proclamava discendente di re Salomone. In questa terra, ancor oggi misteriosa e seducente, ci sono tracce mnestiche, (come Lucy, l’australopiteco femmina scoperto nel 1974 e risalente a 3,2 milioni di anni fa) che ne avvalorano le radici remote. L’attuale capitale, Addis Abeba, il cui nome significa “nuovo fiore”, è una città in divenire. Arrivando in aereo di notte (il mio viaggio si è svolto dal 28 dicembre 2019 al 9 gennaio di quest’anno), mi sono accorta che non è luminosa come in genere sono le capitali. Percorrendola poi, mi sono resa conto che gran parte dei grattacieli è incompiuta, promessa in fieri di un futuro che tarda a venire. Visitando le chiese rupestri nell’area di Amba Gheralta, (Amba è il nome amarico con cui sono chiamate le alture dalle cime piatte), sono rimasta affascinata, oltre che dagli splendidi dipinti che illustrano episodi tratti dai Vangeli Apocrifi, dall’uso nella liturgia dei tamburi e dei sistri, che danno un’impronta del tutto particolare alla dimensione del sacro. Il sistro è uno strumento musicale antichissimo, usato dai sacerdoti egizi della dea Iside, il cui suono era ritenuto capace di effetti miracolosi, come quello di tenere lontani gli spiriti del male. Ritrovare queste testimonianze arcaiche nelle chiese rupestri è stato entusiasmante. Ancor di più lo è stato visitare il tempio della Luna a Yeha, antica capitale dell’Etiopia, edificato nel 700 a. C., che costituisce un tipico esempio di architettura sabea. Ad Aksum, una delle città sante e meta di numerosi pellegrinaggi (si dice che nella cattedrale di Santa Maria di Sion sia custodita l’originale Arca dell’Alleanza), troneggiano le steli di basalto che segnano le sepolture dei sovrani. Un altro monumento interessante è un’enorme vasca di pietra dove si narra facesse il bagno la Regina di Saba. Poco fuori dalla città si trovano le suggestive rovine del suo palazzo, risalenti al X sec. A.C.

A Gondar, nella regione di Amar, importante per il suo complesso di castelli costruiti durante il regno dei Fasilidi, si leggono nell’architettura le tracce della breve avventura coloniale italiana. Il momento culminante del viaggio sono state le celebrazioni del Natale copto a Lalibela. Anch’essa, come Aksum, è una città santa e la configurazione dei suoi edifici corrisponde a quella di Gerusalemme. Per il Natale, nella città confluiscono migliaia di pellegrini vestiti di bianco. I riti lenti e solenni che si celebrano nelle chiese monolitiche scolpite nella roccia proiettano nella sfera atemporale del sacro. Visitare questi luoghi è un’esperienza che offre una visione più vasta e profonda dell’esistenza e fa comprendere come in un mondo globalizzato e digitalizzato persistano ancora delle aree intatte di sacralità e di mistero.
Lucia Guidorizzi