
MICHELANGELO PISTOLETTO, Venere degli stracci (particolare), riproduzione di Venere classica in cemento ricoperto di mica, stracci, Venere cm 130 x 40 x 45; installazione cm 150 x 280 x 100, Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT, in comodato presso Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, Rivoli-Torino, 1967
Il castello di Rivoli a Torino ospiterà dal 2 novembre al 25 febbraio una grande mostra dedicata all’artista Michelangelo Pistoletto, uno dei personaggi più innovativi del ’900 e soprattutto l’inventore dell’Arte povera, una proposta artistica che mirava a introdurre nella creatività materiali poveri presi dalla vita quotidiana, impoverire il gesto artistico attraverso il rifiuto di una sacralità consolidata, aprire a un diverso rapporto tra opera e ambiente. Pistoletto racconta di aver dato vita all’arte povera attraverso la riduzione e quasi cancellazione della materia pittorica e cromatica.
Ovviamente né Michelangelo né gli altri che si inserirono in questo filone ebbero la consapevolezza di aver dato vita ad una nuova corrente; spetta al critico Germano Celant il merito di aver percepito questa nuova tendenza e aver coniato l’espressione poi condivisa da tutto il mondo dell’arte. Ma quali gli elementi più significativi della ricerca artistica di Pistoletto?
Due sembrano essere le linee guida dei suoi lavori. Innanzitutto l’aver immaginato l’opera d’arte completa solo in un rapporto dialettico con il pubblico, con l’osservatore, che non può e non deve rimanere esterno e dunque estraneo al prodotto artistico, ma partecipare, dialogare con l’artista. Insomma il gesto creativo non ha un termine, non cessa con la realizzazione di un manufatto ma continua e si riaccende ogni volta che l’opera incontra il pubblico e si colloca in un ambiente sociale attivo.
È da questa concezione che nasce la serie dei quadri specchianti degli anni ’60, lastre di acciaio sulle quali sono state trasportate immagini di figure umane fotografate e serigrafate, colte in pose quotidiane. Ma la lastra permette anche allo spettatore di far parte dell’opera, di entrare e collocarsi accanto alla figura rappresentata, approfittando del varco concesso dal potere riflettente del metallo. L’assenza di cornici che possano delimitare lo spazio o imprigionarlo rende il tutto open space e la collocazione di questi lavori, sì a parete, ma poggianti direttamente sul pavimento, amplifica ulteriormente il varco, la quantità di spazio raccolto, e dunque tutta la vita sembra quasi chiamata ad animare l’opera.
Quindi l’opera rende protagonista chi assiste, lo costringe a partecipare a una sorta di performance art inconsapevole, casuale, e nello stesso tempo invita a rileggere l’ambiente socia le, concepito come uno spazio dinamico che deve interagire con la creazione dell’artista. Ecco il secondo e fondamentale aspetto dell’estetica di Pistoletto, una concezione della vita in cui l’arte non è decorazione, abbellimento, elemento di arredo, ma elemento etico, che deve servire come guida e insieme ammonimento.

Ne deriva un nuovo ruolo per l’artista stesso, che in un momento storico dominato dal consumismo, dalla cultura di massa che spersonalizza e avvilisce ogni valore, rivendica un ruolo critico di stimolo e sensibilizzazione che è in fondo un invito alla riconquista della propria individualità, concreta e unica anche nel molteplice sociale. Pistoletto ha la fortuna di vivere l’arte in famiglia e poterla coltivare al di fuori dell’ambiente accademico, quindi libero da condizionamenti sia di scuola che di mercato, perciò riesce a dar vita a un linguaggio nuovo per il quale l’opera creata non è un oggetto in più che si aggiunge ai tanti già in uso, ma un oggetto in meno perché riletto e decontestualizzato.
L’artista non lavora né crea per la società, ma è un nuovo filosofo, un pensatore, che rimodella un mondo ideale non attraverso saggi o trattati ma sculture, pitture, installazioni, performance. Il tutto comincia con un rifiuto critico, una posizione provocatoria che esprime dissenso e distanza come nell’opera Venere con gli stracci del 1967, in cui una copia dell’opera classica gira le spalle al pubblico guardando un cumulo di stracci che le arriva quasi alla testa. Seguono poi proposte che sfruttando la logica dei contrari, avviata appunto con la Venere, tenda a ricordare la stretta connessione tra arte e ambiente, il superamento di ogni divisione tra le diverse discipline artistiche. La nascita della Cittadellarte – Fondazione Pistoletto di Biella realizzata nell’ex lanificio Trombetta, va in questa direzione. Ma tutte le sue iniziative artistiche sono espressioni di un progetto unitario che cresce e si consolida nel tempo, anche attraverso veri e propri manifesti culturali come in Ominiteismo e demopraxia del 2017.
L’assunzione di un logo, il Terzo Paradiso (rielaborazione del segno matematico dell’infinito) che contraddistingue e introduce tutte le sue creazioni, non è espressione di un narcisismo autoreferenziale, ma l’assunzione di responsabilità, di un ruolo, quello che dovrebbe spettare a ogni artista che si relaziona con il mondo. La mostra di Torino è forse una sorta di testamento morale: in 29 sale le cui porte sono segnate dal logo del Terzo Paradiso, le opere dell’artista ormai novantenne si susseguono come microcosmi da ammirare e studiare, dalla scienza alla religione, dalla scrittura alla natura, dalla cosmologia al design e alla salute. Ne esce una nuova architettura del mondo e insieme un ritratto di Pistoletto quanto mai completo che non bisogna perdere.
Mario Giannatiempo