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L’informale di Afro Basaldella

AFRO BASALDELLA, Spiaggia (particolare), olio su tela, cm 45 x 56, 1945

Dal 2 giugno al 22 ottobre, negli spazi della Galleria Comunale d’Arte Moderna e Con­temporanea di Arezzo è possibile visitare una grande mostra dedicata ad Afro Basaldella, dal titolo “Afro. Dalla meditazione su Piero della Francesca all’Informale”.

Particolarmente ori­ginale e stimolante è il fatto che la galleria sia adiacente alla Chiesa di San Francesco in cui è possibile ammirare il ciclo delle Storie della Vera Croce di Piero della Francesca, insomma proprio l’artista dal quale prende i primi spunti l’arte di Afro. Anzi questa visita sarebbe pro­pedeutica e introduttiva a quella della galleria d’arte Moderna. Ma quali sono gli elementi con i quali l’artista più complesso del rinascimen­to ha potuto influenzare la modernità di Afro, nato a Udine nel 1912? Non sono certamente le figure, come confessò lo stesso artista, ma il senso della pittura, della composizione che su­pera la forma e cerca un senso, un significato profondo.

Con questo spirito il pittore friulano studia e legge le opere di tanti artisti del Rina­scimento, ricavandone un ordine compositivo, un equilibrio cromatico, un centralismo grafi­co, che manterrà in tutta la sua ricerca pitto­rica, nelle figure della prima fase come nell’in­formale. Il suo percorso pittorico e artistico è quasi unico nel suo genere, perché ci permette di assistere al passaggio dalla forma alla sua negazione, senza quasi avvertire il solco dicoto­mico che una transizione del genere comunque comporta. Ed è proprio questo filo rosso che la mostra vuole indagare, partendo appunto da­gli esordi artistici di Afro fino alle sue ultime creazioni più note. I curatori dell’evento hanno infatti distribuito le diverse opere in tre distinte sezioni: Gli esordi e la pittura di tradizione. Dal ’30 al ’38; gli anni ’40: Afro e Brandi. Il viaggio a Rodi; gli anni ’50: La maturità stilista; ver­so l’informale.

Per la pittura di tradizione basti ricordare la copia del ’31 del Cristo morto del Mantegna, opera proveniente da casa Cavazzi­ni di Udine, con la quale l’artista ad appena 19 anni vince un premio e mostra le sue notevo­li capacità pittoriche. Oppure le scene ispirate alla vita ed ai lavori della campagna che l’ar­tista realizza per le pareti della casa di Dante Cavazzini. Il formalismo figurale trova espressioni signi­ficative nelle opere che Afro realizza a Rodi, dove viene invitato dall’amico e sostenitore Cesare Brandi, per le decorazioni dell’Albergo delle rose. Negli anni ’40 la ricerca comincia ad abbandonare la forma attraverso contami­nazioni neocubiste, metafisiche e surreali. Afro si prepara dunque a un percorso che vede la figura alterarsi fino a diventare sempre più li­bera. Sono illuminanti in tal senso Spiaggia del 1945 e Composizione del 1947, Il Pianeta della fortuna del 1948 o i diversi Senza titolo dello stesso periodo. Infine la sezione dedicata agli anni ’50 mo­stra un artista maturo e decisamente innova­tivo che, dopo il viaggio negli Stati Uniti del 1950, con una permanenza di ben otto mesi, sperimenta una fusione complessa tra l’espres­sionismo americano e l’astrattismo italiano, scegliendo appunto quella che poi diventerà la sua cifra costante: l’informale. In America ha potuto conoscere l’action painting di Pollock, la pittura di Gorki (solo la pittura, però, per­ché l’artista armeno era morto suicida due anni prima), e da tutti prende e rielabora affiancan­do questo nuovo sentire a quello già suo, fatto di classicità e di vissuto personale. Grazie alla collaborazione felicissima con Caterine Vivia­no, famosa gallerista di New York,

Afro inizia una straordinaria carriera di successo anche economico. Basti già Sigillo rosso del 1953 a testimoniare un passo deciso verso traguardi pittorici più decisi e innovativi. Ma come mai la pittura di Afro trova tanto consenso oltre Oce­ano? Possono essere esemplificative le parole di Bonito Oliva: “Afro è stato prematuramente l’artista italiano più cosmopolita degli anni cin­quanta. Esportatore di un informale irripetibi­le, di un informale legato al tono, alla tonalità, al colore al segno, ma che ha sentito il bisogno di confrontarsi con l’altro continente. Europa, America. Esportazione della memoria, impor­tazione della vitalità. (Achille Bonito Oliva, in “Storie dell’arte 2”, 2004). In effetti la pittura di Afro cercava da tempo un superamento della forma.

AFRO BASALDELLA, Composizione (particolare), cm 33,7 x 46,5, olio su tela, 1947

Egli stesso aveva detto in un’intervista: “vorrei che le forme avessero una carica, un si­gnificato”, dunque un senso altro rispetto alla forma stessa, e di qui il passaggio alla libera espressione interiore, diventa inevitabile. Ma nel figurativo come nell’informale rimangono immutati certi stilemi: il senso della memoria, la psicologia della figura, l’importanza del se­gno grafico. Il passato suo e della storia affiora nei cromatismi di sicura derivazione veneta, nella lavorazione dei fondi delle opere, elabo­rata e studiata con cura, per permettere poi agli interventi pittorici successivi di scorrere con sicurezza e gradazioni tonali affascinanti. La psicologia della forma è legata a un bisogno di comunicazione che spinge l’artista a interro­garsi sul senso delle cose e della vita. L’impor­tanza del segno grafico rimanda alla passione per il disegno, ma anche al desiderio di fissare e definire uno spazio di lettura, un filo di Arianna che guidi e insieme ammonisca sulla complessi­tà del vivere. Nella ricerca pittorica successiva agli anni ‘50, Afro affina il suo stile, i cromati­smi diventano sempre più calmi, suadenti e il suo “informale”, prende forma, diventa forma che “parla” diversamente di pittura e di arte.

Mario Giannatiempo

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