
Dal 2 giugno al 22 ottobre, negli spazi della Galleria Comunale d’Arte Moderna e Contemporanea di Arezzo è possibile visitare una grande mostra dedicata ad Afro Basaldella, dal titolo “Afro. Dalla meditazione su Piero della Francesca all’Informale”.
Particolarmente originale e stimolante è il fatto che la galleria sia adiacente alla Chiesa di San Francesco in cui è possibile ammirare il ciclo delle Storie della Vera Croce di Piero della Francesca, insomma proprio l’artista dal quale prende i primi spunti l’arte di Afro. Anzi questa visita sarebbe propedeutica e introduttiva a quella della galleria d’arte Moderna. Ma quali sono gli elementi con i quali l’artista più complesso del rinascimento ha potuto influenzare la modernità di Afro, nato a Udine nel 1912? Non sono certamente le figure, come confessò lo stesso artista, ma il senso della pittura, della composizione che supera la forma e cerca un senso, un significato profondo.
Con questo spirito il pittore friulano studia e legge le opere di tanti artisti del Rinascimento, ricavandone un ordine compositivo, un equilibrio cromatico, un centralismo grafico, che manterrà in tutta la sua ricerca pittorica, nelle figure della prima fase come nell’informale. Il suo percorso pittorico e artistico è quasi unico nel suo genere, perché ci permette di assistere al passaggio dalla forma alla sua negazione, senza quasi avvertire il solco dicotomico che una transizione del genere comunque comporta. Ed è proprio questo filo rosso che la mostra vuole indagare, partendo appunto dagli esordi artistici di Afro fino alle sue ultime creazioni più note. I curatori dell’evento hanno infatti distribuito le diverse opere in tre distinte sezioni: Gli esordi e la pittura di tradizione. Dal ’30 al ’38; gli anni ’40: Afro e Brandi. Il viaggio a Rodi; gli anni ’50: La maturità stilista; verso l’informale.
Per la pittura di tradizione basti ricordare la copia del ’31 del Cristo morto del Mantegna, opera proveniente da casa Cavazzini di Udine, con la quale l’artista ad appena 19 anni vince un premio e mostra le sue notevoli capacità pittoriche. Oppure le scene ispirate alla vita ed ai lavori della campagna che l’artista realizza per le pareti della casa di Dante Cavazzini. Il formalismo figurale trova espressioni significative nelle opere che Afro realizza a Rodi, dove viene invitato dall’amico e sostenitore Cesare Brandi, per le decorazioni dell’Albergo delle rose. Negli anni ’40 la ricerca comincia ad abbandonare la forma attraverso contaminazioni neocubiste, metafisiche e surreali. Afro si prepara dunque a un percorso che vede la figura alterarsi fino a diventare sempre più libera. Sono illuminanti in tal senso Spiaggia del 1945 e Composizione del 1947, Il Pianeta della fortuna del 1948 o i diversi Senza titolo dello stesso periodo. Infine la sezione dedicata agli anni ’50 mostra un artista maturo e decisamente innovativo che, dopo il viaggio negli Stati Uniti del 1950, con una permanenza di ben otto mesi, sperimenta una fusione complessa tra l’espressionismo americano e l’astrattismo italiano, scegliendo appunto quella che poi diventerà la sua cifra costante: l’informale. In America ha potuto conoscere l’action painting di Pollock, la pittura di Gorki (solo la pittura, però, perché l’artista armeno era morto suicida due anni prima), e da tutti prende e rielabora affiancando questo nuovo sentire a quello già suo, fatto di classicità e di vissuto personale. Grazie alla collaborazione felicissima con Caterine Viviano, famosa gallerista di New York,
Afro inizia una straordinaria carriera di successo anche economico. Basti già Sigillo rosso del 1953 a testimoniare un passo deciso verso traguardi pittorici più decisi e innovativi. Ma come mai la pittura di Afro trova tanto consenso oltre Oceano? Possono essere esemplificative le parole di Bonito Oliva: “Afro è stato prematuramente l’artista italiano più cosmopolita degli anni cinquanta. Esportatore di un informale irripetibile, di un informale legato al tono, alla tonalità, al colore al segno, ma che ha sentito il bisogno di confrontarsi con l’altro continente. Europa, America. Esportazione della memoria, importazione della vitalità. (Achille Bonito Oliva, in “Storie dell’arte 2”, 2004). In effetti la pittura di Afro cercava da tempo un superamento della forma.

Egli stesso aveva detto in un’intervista: “vorrei che le forme avessero una carica, un significato”, dunque un senso altro rispetto alla forma stessa, e di qui il passaggio alla libera espressione interiore, diventa inevitabile. Ma nel figurativo come nell’informale rimangono immutati certi stilemi: il senso della memoria, la psicologia della figura, l’importanza del segno grafico. Il passato suo e della storia affiora nei cromatismi di sicura derivazione veneta, nella lavorazione dei fondi delle opere, elaborata e studiata con cura, per permettere poi agli interventi pittorici successivi di scorrere con sicurezza e gradazioni tonali affascinanti. La psicologia della forma è legata a un bisogno di comunicazione che spinge l’artista a interrogarsi sul senso delle cose e della vita. L’importanza del segno grafico rimanda alla passione per il disegno, ma anche al desiderio di fissare e definire uno spazio di lettura, un filo di Arianna che guidi e insieme ammonisca sulla complessità del vivere. Nella ricerca pittorica successiva agli anni ‘50, Afro affina il suo stile, i cromatismi diventano sempre più calmi, suadenti e il suo “informale”, prende forma, diventa forma che “parla” diversamente di pittura e di arte.
Mario Giannatiempo