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Se il sacro è necessario

C’è un corposo volume fresco di stampa, molto ben curato da Maria­no Apa, che pone alcune questioni fondamentali per il mondo dell’arte e in particolare dell’ar­te sacra nonché per una più allarga­ta riflessione sulla relazione di amorosi sensi tra arte-liturgia e letteratura-pensiero filosofico: Registri di Arte. Le necessità del Sacro: un Album di immagini (Gangemi Ed. International).

Che l’esperto e brillante Apa, docente di Sto­ria dell’Arte moderna e contemporanea pres­so la prestigiosa Accademia di Belle Arti di Roma oltre che autore di innumerevoli testi e studi e saggi, sia prima di tutto un genuino intellettuale lo attesta intanto il suo alche­mico equilibrio tra passione e competenza, ma poi lo conferma anche il cuore stesso di questo suo ultimo lavoro. Vale a dire il perno attorno al quale ruotano un po’ tutte queste 560 pagine – ricchissime di immagini, ap­punto, che spesso e volentieri si tramutano in simboli e icone – e che rappresenta a mio avviso una vera e propria “prima radice”: l’idea e anzi la persuasione che il sacro sia necessario.

In un certo senso è come ciò che possiamo e dobbiamo dire dell’estetico, che aristoteli­camente è etico in quanto solo in apparen­za è superfluo; e così per la filosofia stessa, che a nulla ha da servire perché di nulla è serva. Il tutto legittimato in particolar modo da quanto si legge nel IV dei quindici inten­si capitoli che compongono questo prezioso volume, non a caso intitolato Arte e lettera­tura, poesia e immagine, dove ciascuno dei quattro protagonisti ha una sua dignità e au­tonomia, ma insieme una sua naturale incli­nazione all’apertura, al dialogo, all’aggiunta come direbbe Aldo Capitini.

LORELLA FERMO, Mariano Apa, cm 21 x 29, tecnica mista su carta, 2023

Qui le espressioni artistiche e le geometrie architettoniche dell’epoca contemporanea (ma la commovente bellezza degli affreschi di Giotto non ce lo rendono perenne con­temporaneo?) dialogano con la vocazione e la evocazione, con paradigmi e itinerari, con tempo e spazio, con la pietra e il bulino, con lo sfumato e la penombra, con il disegno e la visione, con il rito e con l’intuizione sen­sibile, con il mito e il canto, con il desiderio e il non detto, con la parola e anche il si­lenzio, come pure con l’imperitura eco del­la voce di Chiara, Francesco, Benedetto. Lo fanno dischiudendo così orizzonti inediti di luce archetipica gettata sul vibrante intrico di mistero e bellezza, senza mai trascurare i giusti riferimenti a questa o quella comunità, di religiosi come di cittadini, di cultori come di apprendisti, in senso lato di “ricercatori”. E in ultima istanza la più essenziale delle ri­cerche è forse quella di un’armonia tra l’i­stanza della libertà di un artista e il respiro comunitario del contesto in cui egli opera e/o dei contesti con i quali le sue creazioni ven­gono in contatto. Naturalmente quanto inevitabilmente ricer­cata è la lingua e densi, molto densi, sono i te­sti qui raccolti in un “Organon” di riflessioni

dal di dentro dell’arte e a muovere dall’arte; pur tuttavia, tale ricercatezza e tale densità vengono addolcite e ‘dispiegate’ da una certa lievità, complici i rimandi letterari a un Rilke, le incursioni nella storia e nella fenomenologia del cinema, le assonanze con alcuni luoghi – fisici e al contempo metafisici – della musica.

Se allora uno dei principali oggetti d’indagi­ne di questa rivista è proprio l’arte nelle sue diversificate sfaccettature (atto creativo, per­cezione, ponte comunicativo, rete relaziona­le, incontro, persino filìa…), è bene parlarne di opere come questa, che non sacrificano la profondità dello studio alla mera ansia di­vulgativa.

Giuseppe Moscati

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