Al Mart, Museo d’arte moderna e contemporanea di Rovereto viene ospitata dal 15 marzo al 18 giugno una interessante mostra dal titolo Klimt e l’arte italiana, nata da un’idea di Vittorio Sgarbi. L’iniziativa che ha raccolto per l’occasione moltissime opere di diversi autori italiani, ed eccezionalmente due opere molto rappresentative dell’artista austriaco, Giuditta e Le tre età delle donne, vuole mettere a fuoco l’influenza che il divisionismo di Klimt ha avuto sulla pittura e scultura italiana dei primi decenni del secolo scorso. Tutti conoscono l’arte di questo grande artista, che nato nel 1862 riesce a contrastare l’imperante e asfissiante accademismo avviando un processo di rinnovamento che prepara il terreno per l’arte moderna del novecento. Alcuni dei suoi quadri più celebri, Il bacio, Giuditta, sono diventati icone intramontabili della femminilità e dell’eros; lo stesso Klimt corre il rischio di essere identificato come poeta dell’amore, cosa che fa passare in secondo piano il carattere innovativo della sua ricerca, lo spirito rivoluzionario del divisionismo austriaco di cui fu ispiratore e guida.
Ecco perché merita un approfondimento l’influenza che Gustav ha esercitato sull’arte italiana del suo tempo, su artisti quali Vittorio Zecchin, Felice Casorati, Galileo Chini, Luigi Bonazza e lo scultore Adolfo Wildt. Ognuno di essi ha preso qualche cosa da Klimt, rielaborando il tutto alla luce della propria sensibilità e della personalissima esperienza di vita. Vittorio Zecchin pittore e maestro vetraio veneziano, trasporta nel vetro l’eleganza della figura femminile di Gustav realizza forme che pur ricollegandosi alla classicità la rinnovano nella leggerezza, nella trasparenza e nell’equilibrio. In pittura poi i pannelli ispirati ai racconti delle Mille e una Notte, come Il corteo delle Principesse e Le principesse e i guerrieri, riprendono, è vero, un certo preziosismo klimtiano ma lo rielaborano in una lettura veneziana che mescola motivi bizantini e cromatismi esotici, impostazioni medievalistiche e simbolismi moderni. Ma era prevedibile in un artista vissuto in una città ricca di storia e di straordinarie testimonianze di pittura, scultura e architettura. Ne Il sogno del Melograno di Felice Casorati, il rapporto con l’artista austriaco è immediato: una bella fanciulla dorme distesa tra una moltitudine di fiori, con una serena espressione sul volto.
Il soggetto femminile, la ricchezza di colori, il tema della natura, la mollezza sensuale della posa rimandano allo stile di Klimt, eppure il volto della fanciulla è più reale, tutta la composizione non ha la sognante atmosfera onirica di Gustav, ma rimanda ad una dimensione più vera e vicina all’osservatore. La stessa opera di Casorati esposta al Mart, La Preghiera, così vicina ai decorativismi cromatici dell’artista austriaco, ha però collegamenti evidenti con la grande pittura religiosa italiana, da Giotto a Leonardo. Galileo Chini è esponente importante dell’art nouveau, dello stile liberty. Ricalca moduli tipici dell’artista divisionista, la figura femminile, l’uso dell’oro, i cromatismi ricchi e lussureggianti di una natura che celebra con quella femminile anche la propria fertilità, ma alle spalle dell’artista italiano c’è la storia della classicità, la ricchezza del mito.
Anche il divisionismo dei primi anni di Luigi Bonazza, Il mito di Orfeoè di ispirazione klimtiana ma pure in questo caso il classicismo che sottende la cultura dell’artista trentino rende le sue opere personalissime. Va sottolineato poi un senso di tristezza e problematicità che lo avvicina più a Egon Schiele che a Klimt. Se Vittorio Zecchin è considerato il Klimt della pittura italiana, Adolfo Wildt lo è nella scultura, per quanto le sue opere abbiano diviso per molto tempo l’opinione di critici e pubblico. Infatti la vicinanza dell’artista, nato a Milano ma di origini svizzere, al regime fascista, per molto tempo ha reso problematico un riconoscimento della sua arte, avvenuto solo negli anni ’80. Eppure è abbastanza evidente che Wildt inaugura un plasticismo che rinnova profondamente il classicismo da cui prende le mosse. La sua prima opera,

La Vedova (1892/3), per quanto ispirata dalla Vestale di Canova, annuncia una decisa volontà di cambiamento in cui la forma marmorea diventa più ispirata, meno ascetica, più umana. Più tardi giungerà ad un espressionismo di chiara ispirazione tedesca, fortemente drammatizzato e sofferente. Apparentemente siamo lontani dal decorativismo sensuale di Klimt eppure ad animare le nuove e potenti sculture di Wildt c’è la stessa carica rivoluzionaria che animava il divisionismo e il suo senso tragico richiama la malinconia delle Tre Età della vita. Sicuramente da approfondire il legame tra Klimt e l’arte italiana del primo novecento, specialmente con il contributo delle tante opere provenienti da musei e collezioni private, ma forse varrebbe la pena di analizzare meglio anche il rapporto tra la pittura di Klimt e i decori bizantini, tra la sua figura femminile circondata da cromatismi dorati e l’uso dell’oro nella pittura italiana dal 1200 in poi.
Mario Giannatiempo