La mostra di 104 disegni di Mimmo Paladino, ospitata a Padova al Museo Eremitani dal 23 gennaio al 10 aprile, è l’occasione non solo di rivedere il ciclo dedicato alla maschera di Pulcinella, ma piuttosto quella di un incontro con un artista che è parte importante della storia dell’arte contemporanea. Creativo a tutto campo, pittore, scultore, incisore, regista, attore, sceneggiatore e scenografo, Paladino ha cercato una strada sua, ignorando volutamente percorsi facili o scontati. Anche i lavori su carta sono il punto di arrivo di un lavoro più poetico, intimo, non preparatorio ad altro, ma una ricerca che dalla leggerezza e provvisorietà della carta ricava lo stimolo per una una energia più concentrata, come riferisce lui stesso in un’intervista-video del 1992.
E dopo aver sperimentato l’uso di diversi tipi di carta e di formato, passa presto all’acquaforte, all’acquatinta, alla xilografia e alla linoleografia, alla collaborazione con la carta stampata e con il libro, fino alle illustrazioni per la “Divina Commedia” per il settecentenario della morte del grande poeta fiorentino. A volte il disegno è stato un gioco, come quando realizza per “Repubblica” uno zodiaco, o una sorta di prova di abilità, come nel caso dell’orologio Swatch, diventato un’icona del marchio. La storia artistica di Paladino stimola comunque un interessante dibattito sul rapporto tra artista e critico d’arte, segnando sicuramente un punto a favore del peso determinante del critico nella scoperta e valorizzazione della proposta artistica. Ovvero, Paladino sarebbe stato comunque il grande artista che è diventato senza essere scoperto, seguito e valorizzato da Bonito Oliva? Ci si potrebbe interrogare alla stessa maniera su tutti gli altri che entrarono con Paladino a far parte della Transavanguardia, la corrente artistica che segna un ritorno al figurativo dopo la grande fase concettuale e minimalista.
Ma quali i tratti distintivi dell’arte di Paladino? Innanzitutto la ricerca del segno più che del colore, la insistente attenzione verso una traccia grafica tesa a delineare i contorni, a dividere lo spazio, isolare figure geometriche o antropomorfiche, senza cercarne la definizione interna, il completamento, quanto piuttosto a suggerirne il senso, la forza, il messaggio, una fisicità che sporga dall’opera stessa. Eppure il colore non manca in tante opere, ma è spazio più che figura, un vuoto da riempire, una tabula picta, un fondo su cui lavorare e lasciare pensieri e messaggi che vengono dall’artista come dal mondo. Infatti la seconda nota importante dell’arte di Paladino è la contaminazione, la sovrapposizione di segni e materiali che rimandano a tempi e culture diverse, come se l’opera avesse il compito di raccogliere messaggi del passato e trasmetterli ai lettori futuri.

MIMMO PALADINO, Senza titolo (particolare), cm 300 x 600 , tecnica mista e foglia oro su tavola, 1999 ; Rivoli, Castello)
Anche le dimensioni allora possono diventare significative, specialmente nelle installazioni, come mostrano la Porta D’Europa a Lampedusa, in memoria dei migranti morti in mare, o La montagna di sale (1980), realizzata per la scenografia de La sposa di Messina. La sua arte, come lui stesso racconta, viene da idee e non da un’ispirazione, nella cui esistenza assolutamente non crede, e nel processo creativo prendono corpo immagini che nascono in modo casuale da altre immagini o da spunti eterogenei, una carambola di elementi non soprannaturali ma perfettamente reali, caratterizzati da una fisicità. Si intrecciano dunque spinte convergenti: da una parte il desiderio di risalire all’origine del segno, riprenderne la storia, dall’altra aderire ad un’arte che non nasce irrazionale, né lo diventa, ma si sforza di raccontare il suo tempo e quello passato stabilendo insieme divisioni e affinità. Non a caso, secondo Paladino ogni gesto artistico è opera politica, poi qualcosa sfugge e diventa simbolo…
Potremmo quasi parlare nel suo caso di un concettualismo figurativo che trova nel segno pittorico e nella figura i naturali vettori di un pensiero complesso nei suoi nessi, anche se non strutturato sul piano ideologico. Forse ci aiuta a comprendere meglio la sua ricerca artistica la passione per il cinema (Quijote del 2006, Labyrinthus 2013, Senza Lucio del 2014, La Divina Cometa del 2022) e il teatro (La sposa di Messina 1990, Oedipus Rex e Cavalleria Rusticana 2007. Se il leit motivdi tutta la creatività di Paladino è intrecciare diverse discipline, alterando i piani temporali se necessario, allora per lui tutto il mondo diventa un palcoscenico, o per meglio dire, un presepe in cui accanto ai pastori ha un posto non illogico anche Maradona. E la tendenza a ripercorrere il passato, sovrapponendolo al presente, è la naturale riproposta di quanto da sempre fa già la storia della nostra civiltà.
Mario Giannatiempo