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La rivoluzione di Piero Dorazio

La mostra ospitata alla GAMGalleria d’ar­te Moderna di Verona, dal titolo “La nuova pittura. Opere 1963 – 1968”, vuole riportare l’attenzione del pubblico sull’aspetto inno­vativo e quasi rivoluzionario della pittura di Piero Dorazio, un artista che non ha mai cer­cato consensi facili, che ha condotto una ri­cerca originale e per tanti aspetti provocato­ria, specialmente nell’arco di sei magici anni, quelli appunto scelti per questa rassegna.

L’adesione a una pittura non figurativa, non contenutistica l’aveva fatta fin dalle origini, quando appena ventenne, era stato tra i pro­motori del manifesto “Forma 1” del 1947, in cui tra le tante affermazioni polemiche e aggressive nei confronti della cultura domi­nante, si coglieva la precisa intenzione di ri­conoscere nel Formalismo l’unico mezzo per sottrarsi a influenze decadenti, psico- logi­che, espressionistiche. Dunque, ancora gio­vanissimo, rifiuta di concepire l’opera come il frutto di una dimensione sociale o indivi­duale, di accettare l’arte come espressione di un mondo interiore, spesso condizionato o condizionante. L’opera d’arte deve essere libera, pura, e trovare nella sua stessa rea­lizzazione di opus perfectum (compiuta) il significato della sua essenza. La vis polemi­ca dell’artista romano nasce dalla tragedia della seconda guerra mondiale e lo ammette lui stesso quando in una famosa intervista confessa: “La mia passione per la pittura era nata da un profondo desiderio di trasgressio­ne, di evasione da una cultura paramilitare che inculcava la violenza e la guerra”.

Dun­que la ribellione come ricerca della libertà, di un’espressione pura non inquinata da elementi esterni o interni; di qui un’origina­le scelta di adesione completa al colore, ma non a cromatismi emotivi, empatici, ma logi­ci, razionali, capaci di esprimere equilibrio e rigore, strutturati in modo complesso, come può esserlo una lingua, un codice, o un labi­rinto cromatico. Potrebbe apparire una stra­na contraddizione quella di cercare la libertà in un mondo rigoroso, quasi matematico, ove i numeri sono sostituiti dai colori, ma l’in­finito, uno dei segni matematici più famosi, non è per sua natura espressione di un’entità non definibile, non misurabile e pertanto li­bera? Così la scelta non figurativa e quindi astratta di Dorazio trova la sua personalissi­ma rappresentazione nella trama geometri­ca, nel reticolo di colori che si affiancano e si sovrappongono mantenendo sempre una propria identità. Sono tessiture il cui filo cromatico ora sottile ora largo e addensato percorre traiettorie curve o rettilinee, attra­versando la tela come un momentaneo e mi­surato piano di appoggio e visibilità. Il colore è movimento senza fine, segue un percorso ordinato, uno spostamento continuo e silen­te, che l’occhio coglie solo nei limiti della tela, mentre è il pensiero a seguirlo all’infini­to. La mostra di Verona presenta solo trenta lavori riferibili a questo periodo, ma basta­no per rendere evidente il senso della ricerca pittorica di un artista che concepisce il risul­tato creativo come oggettiva rivelazione dei nessi colore/movimento, luce/colore, linea/ spazio. Il rigore della ricerca arriva sino alla morte dell’artista del 2005 e trova la sua spiegazione più convincente nella teoria di un’arte che scopre se stessa, ovvero diventa rivelazione attraverso l’intervento dell’au­tore che non inventa ma legge e traduce in una geometria cromatica le leggi della fisi­ca.

PIERO DORAZIO, Presente e passato (particolare), cm 186, 7 x 196, 5, olio su tela, 1963

Potremmo parlare per Piero Dorazio di una pittura scientifica, in cui architettura, teoria dei colori, matematica e geometria si parlano senza prevaricazione, rispettando i reciproci campi di riferimento fino a definirli nei confini, nelle tendenze e nei comporta­menti. La trama rigorosa, la ripetitività dei movimenti, che una volta fissata diventa ob­bligata, trasformano ogni tela di Dorazio in un’infinita serie di multipli e sottomultipli. A tal punto che ogni particolare, apparen­temente svilito perché sottratto e tagliato, in realtà vive di vita propria, diventa una nuo­va proposta altrettanto dignitosa come quel­la da cui è stato separato. È così per Balance and counterbalance (1965), per Percorso-Male-Inteso (1965), per Teodorico guarda in fretta (1965), Serpente (1968) e tanti altri. La stessa generosità delle dimensioni delle sue opere facilita questa impressione, per­ché ogni lavoro è un unicum e, nello stesso tempo, è divisibile all’infinito e ciò che non si vede è nella fantasia di chi guarda. La vita straordinaria di quest’artista, che a 26 anni tiene due conferenze negli Usa nelle univer­sità di Harvard, a 27 espone a New York, a 33 promuove la nascita del dipartimento di belle arti alla School of Fine Arts nella Penn­sylvania University di Filadelfia, riconosciu­ta tra le migliori scuole d’arte d’America, a 33 è già alla Biennale di Venezia del 1960, annovera tanti altri successi fuori e dentro il mondo dell’arte, che rendono irrinunciabile una visita al GAM di Verona che ospita la rassegna fino al 30 aprile.

Mario Giannatiempo

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