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Bernardini e la luminosità cristallina dello spazio

Carlo Bernardini – in mostra fino al 5 feb­braio presso lo spazio “Sugar” di Palazzo Lombardi ad Arezzo – presenta una selezio­ne di alcune opere scultoree nella cui ricerca visiva, basata sul concetto di trasformazione percettiva, la luce crea un disegno nello spa­zio, un disegno che cambia secondo i punti di vista e gli spostamenti dello spettatore. Le sue sculture sono spazi mentali, apparente­mente incorporei, in cui il disegno di luce modifica la nostra percezione dell’ambiente, tracciando con la fibra ottica ipotetiche di­mensioni invisibili nello spazio.

Attraverso le sue intensissime installazioni, Bernardini ha sempre mirato a una riconfi­gurazione dei luoghi per una nuova architet­tura; le sculture sono concepite come spazi di luce cristallizzata, i cui materiali, acciaio inox e fibra ottica, si compenetrano in un gioco di ruoli, tra luce e buio. Il riverbero delle figu­re geometriche nelle forme visive scompone lo spazio, recintando il vuoto dell’ambiente. L’artista immagina un vuoto pieno, un nulla vero, una realtà irreale che si scopre più reale dell’irrealtà. L’artista plasma il pieno (la ma­teria) per delimitare un vuoto (il buio) che scopre un nuovo pieno (lo spazio geometrico). L’artista costruisce, definisce, istituisce… La fibra ottica, mezzo atto a trasmettere le in­formazioni con la luce, comunica attraverso segnali ottici, ma Bernardini la usa come per disegnare nello spazio, quindi in un ambien­te; è un disegno che, staticamente, si riscatta in un apparente senso dinamico, cambiando e talvolta perfino sconvolgendo la funzione della struttura di un luogo.

La relatività del­le percezioni che la lettura dell’opera genera può porci in relazione con altre coordinate visive e con differenti, inattese implicazioni, e nuovi significati si levano dalle cose: i ri­flessi rivelano strati di realtà. intimistiche o microscopiche; le linee di luce segnano una dimensione altrimenti invisibile.

L’opera di Carlo Bernardini induce una pras­si della dilatazione luminosa, in questo senso animata: tutto rallenta tramite e grazie alla visione che la sua tecnica produce. È uno strano prolungamento delle cose, ma non per straniamento – come troppi autori ormai vanno argomentando – bensì per una sorta di viaggio lenticolare nella materia ottica, nella trama della visione considerata però natura­le, anzi naturalissima. Il lavoro di Bernardini abilita una “maniera evoluta” di avvicinare la moderna coscienza scientifica, quella che, durante il nostro tempo di fruizione delle cose, consente quell’aspetto riflessivo in gra­do di liberare la bellezza della conoscenza. La trama strutturale che la luce disegna è il confine del vuoto, un recinto geometrico che diventa anche concettuale, e che rileva e ri­vela, argina e insieme libera, connotando l’e­sistenza di certe dimensioni estranee capaci di definire una consapevolezza “fuori scala”, cioè ipotizzata come intangibile.

La scienza contemporanea avalla infatti tale posizione risolta nella teoricità della fisica sperimenta­le: l’ipotesi è quella del concernere oltre le tre dimensioni, più in là della percezione. Oltre l’inosservabile, già la fisica quantistica ha detto e continua a dire, ma qui si cuce con l’arte, che accorre e ricorre nell’uso dell’im­maginazione prima che della curiosità. L’o­pera di Bernardini, in effetti, può essere un tentativo di vedere proprio questo: la proie­zione dello spazio, oltre la dimensione finita.

Fabio Migliorati

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