La ricerca artistica di Tony Cragg nell’arte del Novecento circoscrive il continuo divenire di una forma viva che accetta solo per tempi brevi, concordati con l’artista, di fermarsi e lasciarsi cogliere dallo sguardo dell’osservatore. Un “fieri” che dialoga con il mondo fino ad esserne parte, per poi superare ogni traguardo come se ne percepisse la inadeguatezza, la necessaria transitorietà verso uno stadio superiore.
Cragg insegue un sogno, un’opera liberata dal peso della forma e, guardando le sue ultime sculture, mettendole a confronto con le prime opere minimaliste degli anni ’80 sembra che il percorso sia quasi giunto al termine. Eppure, almeno all’inizio, il giovane Tony non sembra destinato alla creatività, visto che comincia a lavorare come tecnico in un laboratorio di biochimica. Gli piace il disegno però e alla fine lascia il lavoro per iscriversi al Royal college of art di Londra. Da questo momento si dedica completamente all’arte, cominciando a sperimentare tecniche di assemblaggio di materiali diversi, legno, ferro, plastica, cera, vetro. Tutti i suoi lavori sono influenzati e condizionati da una formazione culturale scientifica ma sono comunque evidenti, sin dall’inizio due tendenze parallele, che con diversa forza espressiva cercheranno un dialettico rapporto tra forma e spazio.
La prima, lavorando su forme già definite tenderà a superarle, ad affrancare l’oggetto da una forma funzionale per indirizzarlo verso un nuovo rapporto estetico. Appartengono a questa lettura opere della “minimal art”, dell’“arte concettuale”, come ad esempio Stack del 1975, dove troviamo una pila di oggetti diversissimi, assemblati e schiacciati in un cubo aperto, inteso come il campione stratificato di uno scavo della nostra civiltà di consumo. Anche in Bottiglie su mensola del 1981, dove il gesto creativo si è fermato di nuovo a raccogliere reperti, il pensiero predomina sull’atto artistico, lo frena, esaurendolo in una mera attenzione al rapporto tra spazio e forme già definite.
E la ricerca di una sintesi tra questi due elementi continua fino a tutti gli anni ’90, basti ricordare Cumulus del 1998, nella quale una sovrapposizione di oggetti in vetro bianco opaco, molto diversi per altezza, funzione e stile, costruita su piani sfalsati che si rincorrono a vicenda, si libra nell’aria come una torre. La cosa più evidente è che nell’uso delle forme già definite l’artista accoglie un gran numero di oggetti per riempire lo spazio, ora orizzontale (New Stones, Newton’s Tones, 1978), ora verticale (Britain Seen from the North, 1981) ora tridimensionale come in Cumulus. La seconda tendenza è indirizzata alla scoperta della materia, della sua anima, dei processi di fluidificazione e solidificazione attraverso i quali essa può prendere vita e forme momentanee dell’essere.
Dalla fine degli anni ’90 nascono opere sempre più grandi in bronzo, in plastica e poi in vetro che hanno ormai perso ogni contatto con la realtà sociale di cui pur sono espressione, e che realizzano progressivamente quell’idea di opus perfectum che l’artista di Liverpool insegue da decenni. A cominciare da Lontano dalla vista, lontano dalla mente, 2003, in bronzo, fino a Senders del 2018, in fibra di vetro, è la materia a diventare protagonista, cercando e trovando la forma più efficace per esprimere le sue proprietà.

Ma le opere somigliano sempre più al mondo naturale, in cui un altro grande artista, la natura, da sempre opera con instancabile azione modellatrice. Forse intenzionalmente l’artista ci aiuta a capire, ad ammirare la materia ricordandoci che essa è viva ed è parte della nostra storia. Da diversi anni Cragg frequenta le botteghe di Murano – per meglio dire collabora con Berengo Studio – sperimentando la lavorazione del vetro e imparando a conoscere meglio le proprietà del silicio. Da questa collaborazione sono nate opere meno invasive, più contenute, che alla trasparenza del vetro uniscono un ritorno alla geometria dei solidi e nello stesso tempo un suo rifiuto, come è sempre stato nel lo stile di questo geniale artifex. Ne sono nate opere che incantano e trasportano in un altro mondo dove tutto è perfetto, senza tempo e senza spazio. Come avviene guardando Blown glass, del 2021, che i visitatori troveranno esposta insieme alle ultime opere dell’artista al Museo del Vetro di Murano fino 21 agosto 2022, in una mostra dal nome suggestivo: Silicon Dioxide.
Mario Giannatiempo