Tutto inizia lì dove il dolore si decanta e diviene limpida lacrima di cristallo, dove l’umore si tramuta in essenza, è lì che è il nido, il roveto ardente della presenza, il luogo dove è possibile sostare e abitare. C’è a Venezia un giardino nascosto e remoto in cui si trova un albero unico e diverso da tutti gli altri: ai suoi rami sono appese delle lacrime divenute di cristallo.

Quest’albero si chiama “Silenzio”. Si tratta di un’installazione dell’artista Marcela Cernadas e si trova all’Arsenale, nello spazio Thetis. Il viaggio poetico dell’ultimo e prezioso libro di Francesca Ruth Brandes Tutti i pesci del mare (Zacinto edizioni, 2021), inizia da qui. Sotto quest’albero, restando in ascolto e in silenzio, Francesca Ruth Brandes, con l’eleganza e la limpidezza, la rarefazione e la grazia ma anche il rigore che la contraddistinguono, ha cominciato a scrivere e a raccontare. Sono spesso le immagini a muovere le parole, a portare alla luce quanto altrimenti sarebbe rimasto sopito nei recessi della propria intimità, ma che la poesia è in grado di traghettare dall’invisibile al visibile.
Attraverso lo sguardo si racconta, lo sguardo accoglie, con attenzione, il tempo della gioia e quello del lutto e li celebra, con immutata fiducia nei confronti della vita stessa. Questa raccolta poetica parte da un atto d’amore nei confronti di qualcuno che non c’è più, ma che proprio per questo è divenuto il tessuto stesso dei giorni e delle stagioni. Quando una persona fa profondamente parte del nostro mondo interiore, la sua morte non interrompe il colloquio che continua a fluire ininterrotto attraverso i luoghi, le immagini, le parole,
facendo affiorare tutto quel patrimonio comune intessuto d’intese, di complicità e riferimenti simbolici che si è creato nel corso della relazione. Sulla copertina del libro compare l’opera del fotografo Andrea Mirenda “Paesaggio con pesci e con colline”, occasione per disvelare quell’avventura ittiologica, divenuta una sorta di koinè comune tra Francesca e il magnifico Snel, cui il libro è dedicato, attraverso la quale Aristotele, primo biologo della storia, enumera le varie specie di pesci marini. Raccontare è un modo per fissare dei momenti che continuano a irradiare la loro luce, diventando orizzonti di senso e punti di riferimento nell’avventura del vivere. L’infinita varietà della natura, dispiegandosi attraverso l’enumerazione, la catalogazione, si configura come un esercizio mnemotecnico grazie al quale rimane accesa la lampada della comunicazione che continua a irradiare la sua luce preziosa, illuminando incessantemente il processo conoscitivo. È sempre l’Altro a rivelare a noi stessi e di questa esperienza preziosa, fatta di dettagli e piccoli particolari, Francesca celebra l’unicità, facendocene dono attraverso la sua poesia. Pazienza, gentilezza, grazia, rarefazione, eleganza, ma soprattutto askesis (esercizio, ascesi), sono gli elementi che contraddistinguono questo viaggio, in cui non c’è cordoglio o rimpianto, ma adamantina fiducia nell’esistenza e nella sua sapienza segreta.
Sono i gesti e le parole a tessere quell’infinito arazzo che è la memoria, celebrando la continuità di un legame che va oltre le barriere della vita e della morte. La Presenza è data dal frinire delle cicale, dallo sciabordio delle barche nel canale, da una canzone o da una lettura condivisa, dal frammento di una frase o dal balenare di un’immagine che assumono risonanze e profondità dalle valenze epifaniche, in un permanere che abbatte ogni confine. Francesca Ruth Brandes, con grande equilibrio e umiltà accoglie, lascia scorrere e tramuta in canto.
Lucia Guidorizzi