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La pittura visionaria di Anj Smith.

LORELLA FERMO, Anj Smith e Stefano Bardini a Firenze, cm 21×29, tecnica mista su carta, 2022

Anj Smith, ospitata per la prima volta in Ita­lia, nelle sale di Palazzo Bardini, a Firenze, fa della contaminazione una cifra ricorrente e significativa della sua arte. Nei suoi lavori si sovrappongono elementi decorativi classici e moderni, echi cinquecenteschi e input del nostro tempo in composizioni che incuriosi­scono e destano meraviglia anche nei formati. Infatti le dimensioni delle opere sono piuttosto esigue rispetto alla ricchezza degli elementi pittorici e figurativi utilizzati. L’artista sem­bra quasi prediligere una tecnica miniaturisti­ca come strumento di lavoro per accogliere il più largo numero di stimoli creativi, evitando una dispersione nello spazio che impedireb­be di annotare anche il particolare. La mostra di Firenze, curata da Sergio Risaliti direttore del Museo Bardini, che ha come titolo A wil­low grows aslant the brook, vede inserite nelle sale, tra le opere e gli oggetti esposti, dodici lavori della Smith, collocati in punti strategici degli ambienti, come se l’esposizione delle tele dell’artista britannica, interagendo con il ma­teriale storico del museo, continuasse anche esternamente quel dialogo interno tra passato e presente, tra fantasia e realtà. Il successo di Anj Smith, che ha studiato alla Slade School of Fine Art di Londra, una scuola apprezzata a livello mondiale, è cominciato agli inizi degli anni 2000 e non si è più fermato.

Sin dall’i­nizio l’artista ha sovrapposto nei suoi lavori elementi afferenti a contesti diversissimi: am­biente, moda, natura, flora e fauna, trovando un’originalissima sintesi che cattura e ipno­tizza costringendo lo spettatore a soffermare lo sguardo in successione sui diversi elementi della composizione, in una visione d’insieme e nello stesso tempo frazionata e parcellizzata. Ad esempio, in Lettere dell’inconscio (2016), la figura femminile rappresentata mostra un taglio di capelli moderno, occhiali celesti, av­volgenti, di plastica trasparente, una posa da donna sicura, avvolta però in un abito d’al­tri tempi. Il collo è poi circondato non da una pelliccia ma una scimmia lanuginosa che sembra riposare quietamente. Solo un casuale gioco compositivo? L’artista confessa di trova­re nell’arte pittorica una sorta di scrigno che conserva memorie passate che lei ama risco­prire facendole dialogare con il suo vissuto, le sue pulsioni. Insomma per lei la pittura non è una tecnica ma un ponte con il passato in cui ama avventurarsi portando con sé anche la storia del presente. Ma questo passaggio non è razionale né controllabile nelle sue fasi, proprio perché nasce da inconsce spinte in­teriori.

Di qui la visionarietà delle immagini che alla fine trovano spazio sulla tela: i pa­esaggi sembrano onirici, visioni fantastiche e simboliche. I visi appaiono enigmatici, assorti, spesso coperti da un velo trasparente che ac­centua insieme il concetto di tempo passato e di sogno: la natura umana tende a metamor­fizzarsi diventando un unicum con flora e fau­na come in Paesaggi di arborealità (2017), in Falso Steward (2019), L’amante (2020), I paesaggi, quasi sempre aridi e notturni, senza vita, diventano proiezioni di inquietudini ed ansie tutte umane, come in Paysage borealis (2007), Escrementi (2016). Insomma, estre­mamente intrigante l’arte di Smith perché fa della simultaneità un suo modus operandi, ac­cogliendo sulla tela quanto la memoria ogget­tiva e soggettiva, quella personale e collettiva hanno conservato e messo a disposizione non solo della scienza, ma anche della pittura. La mostra è aperta fino al primo maggio 2022.

Mario Giannatiempo

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