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La malinconia di Gustav Klimt

Le opere di Klimt sono diventate il simbolo per eccellenza di un’arte in cui realtà e sogno si intrecciano attraverso un’iconografia stiliz­zata e cromaticamente raffinata. Con una mo­stra a cura di Franz Smola, direttore del Bel­vedere Museum di Vienna, ospitata a Palazzo Braschi dal 27 novembre 2021 al 27 marzo 2022, Roma ne celebra la fama con l’evento dal titolo Klimt, la Secessione e l’Italia, dan­do la possibilità ai visitatori di rivedere non solo alcuni dei capolavori dell’artista viennese ma di ammirare anche altri pittori austriaci della Secessione. Il percorso espositivo tende però ad evidenziare particolarmente i rapporti frequenti intessuti dall’artista con la cultura italiana e con i luoghi che più influenzarono la sua pittura. I tantissimi lavori esposti proven­gono in massima parte dal Belvedere Museum, dalla fondazione Klimt e da collezioni private. Cosa ha significato Klimt nella storia dell’ar­te del ‘900 e quale il valore della Secessione? Purtroppo l’artista austriaco, per quanto ap­prezzato per il suo incredibile talento, imme­diatamente riconosciuto anche pubblicamen­te, non sembrava incontrare il consenso degli intellettuali del tempo, sostenitori di un’arte più tradizionale e conservatrice.

Agli addetti ai lavori la ricerca figurativa di Gustav sembrava confusa, pasticciata, fortemente contaminata da molteplici e diverse componenti stilistiche. Dopo la morte a soli 28 anni del fratello Ernst, che con lui aveva frequentato l’Università del­le arti applicate di Vienna, si registra un suo silenzio artistico totale ed assoluto. Fino a quando nel 1897, insieme ad altri diciannove artisti, tra i quali Egon Schiele, non diede vita alla Secessione, un movimento apertamente in contrasto con il mondo dell’arte dominante e teso a sostenere una espressività piena, libera di spaziare da una tecnica all’altra, sovrappo­nendole se necessario, insomma la Gesamkun­stwerk, un’opera d’arte totale. Specialmente nella figura il movimento intendeva liberarsi di una accademica tutela che voleva il rispetto di canoni classici, restii ad accettare innan­zitutto alterazioni fisiognomiche.

La libertà che cercò nell’arte, Klimt la perseguiva anche nella vita: aveva allacciato una relazione con la sorella della vedova di suo fratello Ernest, Emilie Flöge, che sopportò pazientemente le intemperanze amorose dell’artista al quale le ricerche biografiche, seguite alla sua morte, avvenuta per complicanze dell’influenza spa­gnola, assegnarono molteplici figli illegittimi. Gustav era innamorato dell’amore, della vita intesa come naturale espressione dei sensi che la percepiscono nei colori, nei profumi, nel­la freschezza dei sentimenti. E quando ebbe l’opportunità di affinare il suo senso estetico contemplando i mosaici ravennati, si liberò definitivamente di ogni legame con l’accade­mismo viennese e avviò quello che viene con­siderato il suo periodo aureo, la conversione ai preziosismi bizantini, con l’uso accentuato di colori scintillanti, smalti e ori. I capolavori musivi insieme ai ricordi dell’infanzia di un padre orafo che l’aveva colpito e meravigliato con la lavorazione del metallo prezioso, spie­gano sicuramente la nascita di un periodo di straordinaria creatività durante il quale pren­dono vita le opere più note e famose di Gustav Klimt:

Giuditta I (1901), Ritratto di Adele Bloch-Bauer I (1907), Il Bacio (1907/8), Le tre età della donna (1905), Danae (1907/8), L’al­bero della vita (1905/1909) e infine Giuditta II (1909) che in qualche modo chiude questa fase segnalando già il passaggio dell’artista verso una pittura più espressionista nella qua­le l’oro scompare e si attenuano decisamente i raffinati tratti figurativi che l’avevano reso famoso. Due le componenti dominanti delle opere di questo periodo: la sensualità e la malinconia. La prima emerge protagonista dall’esaltazio­ne del corpo femminile, esibito con provoca­zione, come in Danae e Giuditta I, oppure dal trionfo dell’amore, inteso come attrazione, trasporto dei corpi in un mondo a parte, come ne Il bacio. La malinconia invece avvolge tutte le opere come un velo trasparente ma perfettamente percepibile: è il senso della morte che incom­be, è il tempo che passa, che porterà via la vita e gli amori, la bellezza e la ricchezza. Sembra quasi che la stessa sovrabbondanza di colori di profumi che si levano dai fiori dei dipinti siano una sorta di un canto del cigno prima della fine. Ne Le tre età della donna la ma­linconia si coglie senza equivoci, attraverso le forme cadenti di una donna anziana, che rappresenta il presente deludente di quella che un tempo era una vita splendida e sana.

La malinconia di Klimt aveva già contami­nato i tre lavori commissionati dall’Universi­tà di Vienna, andati distrutti e ricostruiti in questa mostra grazie a tecniche avveniristiche attraverso foto dell’epoca: Filosofia, Medicina e Giurisprudenza. In queste opere, rifiutate poi dall’Università perché sentite estranee allo spirito delle tre discipline, distanti dalle aspet­tative dei committenti, Gustav aveva espres­so le sue incertezze e le inquietudini del suo tempo, rifiutandosi di interpretare le tre disci­pline come superbe affermazioni del pensiero umano e scegliendo di rappresentarle piutto­sto come ricerche umane affannose e dolorose. Nella stessa opera Il fregio di Beethoven, rea­lizzata nel 1902 per la quattordicesima mo­stra secessionista viennese, il sentimento do­minante è l’inquietudine espressa attraverso visioni che parlano di una ricerca della felicità minacciata da oscure forze del male e trovata nella poesia, un mondo però solo ideale.

Mario Giannatiempo

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