Ci sono personaggi che vengono deliberatamente dimenticati, in quanto non possono essere usati pro o contro una determinata ideologia: sono spiriti fluidi, inafferrabili, desiderosi di sperimentare le molteplici possibilità dell’essere. In mondo in cui vigono dualismi e contrapposizioni, una figura muliebre complessa come quella di Valentine de Saint-Point è scomoda e fa ancora scandalo. Il suo personaggio non si presta a essere imbrigliato, etichettato, non può divenire un vessillo o una bandiera; è troppo trasgressiva, troppo inquieta e versatile, troppo curiosa per essere cristallizzata in un’immagine stereotipata: eppure, Valentine de Saint-Point ha tutte le carte in regola per essere un personaggio interessante, affascinante e seducente protagonista di grandi passaggi epocali.
Anna Jeanne Valentine Marianne Desglans de Cassiat-Vercell nasce a Lione il 16 febbraio 1875. Suo prozio è Alphonse de Lamartine, signore del castello di Saint-Point da cui farà derivare il suo nome d’arte. Si sposa appena diciottenne con uno scialbo professore di letteratura che ha quattordici anni più di lei e che la renderà vedova sei anni dopo. Nel 1900 si risposa con un professore ordinario di filosofia a Parigi, ex-collega del marito, dal quale divorzia quattro anni più tardi per poter vivere liberamente la sua relazione con Ricciotto Canudo, un eclettico intellettuale pugliese che l’amico Apollinaire chiama con affettuosa ironia “le Barisien”; laureato in Lingue Orientali a Firenze e studioso di Teosofia a Roma, è poeta, romanziere e il primo critico cinematografico ufficiale in assoluto; sarà lui a coniare per il cinema la definizione di “Settima arte”. A Parigi frequentano Delaunay, Braque, Picasso, Ravel. Liberatasi dai vincoli matrimoniali, Valentine si dedica con passione alla creazione artistica: è capace di far dialogare tra loro tutte le arti, scrive romanzi, poesie, prose brevi, si dedica alla pittura, alla scultura e alla danza, inventa la Metacoria, una forma di espressione corporea che sarà alla base della danza moderna. La sua poesia, come afferma Apollinaire, ha saputo innalzare mirabili canti lirici, spesso aspri come profezie. Studia ceramica nell’atelier di Rodin, a cui dedica uno studio che pubblica sulla Nouvelle Revuenel 1906 intitolato “La doppia personalità di Auguste Rodin”, con il quale intrattiene un’intensa corrispondenza epistolare per quindici anni. Scrive il “Manifesto della Donna Futurista” in risposta al “Manifesto del Futurismo” e lo legge a Bruxelles nel giugno del 1912. Colpito dalla sua originalità e indipendenza, Marinetti la invita a far parte della Direzione del Movimento Futurista. Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale si prodiga come infermiera della Croce Rossa, ma rimane profondamente delusa da questa esperienza. Durante un viaggio in Marocco, si converte all’Islam, prendendo il nome di Radwhiya Nour el-dine, Luce Spirituale della Religione, e in seguito, dopo che la sua relazione con Ricciotto Canudo s’interrompe, si trasferisce a vivere a Il Cairo, dove conosce Renè Guènon di cui segue gli insegnamenti esoterici. Studia agopuntura e radiestesia e nel 1924 pubblica il suo ultimo romanzo “Il segreto delle inquietudini”. Nel 1929 pubblica la tragedia “L’anima imperiale o l’agonia di Messalina”. In Egitto s’impegna cercando di favorire la liberazione delle donne islamiche ed è considerata con sospetto sia dagli occidentali che dai musulmani. Trascorre gli ultimi anni della sua vita oscuramente e muore, dimenticata da tutti, nella più assoluta indigenza a il Cairo, il 28 marzo 1953.
Valentine de Saint-Point è una figura controversa, un’artista poliedrica e generosa, capace di profonde intuizioni e, anche se spesso la sua ricerca l’ha condotta su sentieri accidentati, è riuscita a cambiare il suo punto di vista più volte nel corso della sua esistenza, esercitando con fermezza il suo diritto a contraddirsi, privilegio di tutte le anime inquiete, intelligenti e geniali.
Lucia Guidorizzi