Il 19 settembre del 2021 è stata completata l’ultima opera di Christo: la copertura dell’arco di Trionfo a Parigi. Il progetto è stato portato a termine dai suoi collaboratori, perché l’artista è morto il 31 maggio del 2020, strappato alla vita per cause naturali o forse, come tanti altri sospettano, dal covid 19, la peste del terzo millennio. Si può discutere per anni sull’arte di Christo, chiedendosi innazitutto se sia arte, senza giungere mai a una conclusione che possa accontentare tutti. Eppure le sue creazioni, gigantesche, ciclopiche, hanno stupito il mondo, lo hanno costretto a interrogarsi, a diventare parte degli stessi progetti artistici che l’artista insieme alla moglie si divertiva a realizzare, impacchettando monumenti, palazzi, fiumi, colline, o creando costruzioni con un LEGO fuori misura. Christo Yavachev era nato a Gobrovo, in Bulgaria il 13 giugno 1935 e nel 1956 era fuggito in Occidente alla ricerca di una libertà che nell’Europa orientale di allora sembrava impossibile. A Parigi aveva conosciuto nel 1958 Jeanne-Claude, diventata poi sua moglie e parte fondamentale di un connubio artistico rimasto comunque tale anche dopo la morte della donna, avvenuta nel 2009. L’artista bulgaro ha più volte detto che l’idea di impacchettare le cose era stata sua ma quella di impacchettare il mondo, ovvero dilatare e ingigantire l’atto della copertura era stata di sua moglie. Così insieme avevano cominciato a progettare opere sempre più complesse, che richiedevano calcoli non indifferenti. Eppure quelle realizzate sono state tutte opere “a tempo”, ovvero caratterizzate da una vita effimera, già fissata dagli autori, di solito tre settimane. Di per sé opere inutili, costosissime, estremamente impegnative, provvisorie eppure capaci di modificare il paesaggio, trasformando il gesto artistico in un atto creativo, quasi divino. C’è una precisa volontà polemica in queste azioni artistiche che disertano i muri dei collezionisti e dei musei scegliendo spazi pubblici come temporanei sfondi o come cornici fuori misura di nuove e mobili realtà. La chiamano land art la tendenza a lavorare nella natura, con la natura, con opere che avranno la durata che le leggi naturali del deterioramento e della trasformazione impongono, ma Christo e la moglie

29, tecnica mista su carta, 2021
hanno scelto un modus operandi che supera la land art per diventare altro, qualcosa che non era mai avvenuto, perché mai un artista aveva pensato di poter usare non solo la natura ma l’ambiente, la realtà esistente come una nuova tavolozza di lavoro, mai nessuno si era sentito in grado di confrontarsi con la natura per darle una nuova veste con materiali ad essa estranei se non per bisogni sociali, mai aveva pensato di incidere l’ambiente per lasciare un segno importante che non fosse definitivo. Solo i poeti pensano in grande, sognano nuovi spazi, immaginano e trasformano l’esistente come, ad esempio, recitano alcuni versi de L’Infinito di Leopardi (Ma sedendo e mirando, interminati/ spazi di là da quella, e sovrumani/ silenzi, e profondissima quiete/ io nel pensier mi fingo…). Christo ha materializzato sogni, ha trasformato pensieri e impulsi profondi in gesti artistici ma ha fatto in modo che essi diventassero pubblici, fossero condivisi, che milioni di persone anche se per breve tempo potessero diventarne parte, sentire le stesse sensazioni che lui aveva percepito come spinta creativa. Sono di due tipi le opere allestite dal duo Christo-Jeanne: coperture e installazioni. Le prime cancellano, coprono, trasformano lasciando alla fantasia la possibilità di ricreare, scoprire nuove forme, sensazioni tattili diverse perché differenti sono i materiali che rivestono l’ambiente o i monumenti. Le installazioni sono invece nuove creazioni, temporanee apparizioni di opere concrete, da vivere e usare prima che spariscano di nuovo nel vuoto da cui sono nate. L’uomo è diventato così potente da modificare il paesaggio, cancellare fiumi, costruire grattacieli, muri enormi, lunghi migliaia di chilometri, l’artista del nostro tempo non può intervenire sul mondo che lo circonda? Deve solo subirlo? Eppure i grandi monumenti che ci vengono dal passato nascono da idee artistiche realizzate da eserciti di manovali. Dunque bastava solo osare, assumere una mentalità diversa, recuperare insieme fantasia e ingegno, combinare calcoli e poesia, trasformare i versi e le parole in materia, o per meglio dire in tessuto o plastica, per arrivare ad opere quali The Floating Piers apparsa sul lago d’Iseo nel giugno del 2016, realizzata con 220.000 cubi di plastica dura ricoperti da 100.000 metri quadrati di tessuto giallo, oppure come l’impacchettamento dell’Arco di Trionfo fatto con 25 mila metri di tessuto bianco e celeste. Tutte le opere di questa coppia hanno richiesto studi accuratissimi, manovalanze esperte, mezzi adeguati, tempi di preparazioni lunghi mesi e a volte anni, costi considerevoli che però non sono mai stati coperti da finanziamenti pubblici, ma solo da sponsor. Così è stato per l’impacchettamento del ponte de il Ponte Neuf a Parigi nel 1985, per quello del Richstag a Berlino del 1995, per The London Mastaba, opera galleggiante realizzata sul Serpentine Lake a Londra con 7000 barili di petrolio colorati e tante altre. Fu vera gloria? Potremmo dire parafrasando un verso manzoniano che alludeva alle imprese di un Napoleone passato dal trono alla polvere. In arte non possiamo usare gli stessi metri di valutazione con i quali siamo soliti misurare la quotidianità, l’arte è per sua stessa natura inutile eppure necessaria, indispensabile, come l’ossigeno che ci permette di vivere. Christo (e questo nome diventa allora estremamente significativo) ha solo alluso con piccoli e pochi gesti, che a noi sono sembrati enormi, all’opera di quel grande artista che ha giocato con il mondo, divertendosi a realizzarlo in soli sei giorni. Allo stesso modo di come siamo parte di un gesto poietico, forse voluto, forse accidentale, così siamo stati chiamati ad essere parte delle opere del duo artistico Christo/Jeanne, opere certamente più modeste, non durature, ma simbolicamente senza confini di spazio e tempo.
Mario Giannatiempo