Se il filosofo siciliano Manlio Sgalambro ha espresso la sua predilezione riguardo all’arte del pensare breve, contraddistinta da lampi di rapide intuizioni e illuminazioni, in contrasto con certa esondante verbosità incapace di descrivere il mondo nella sua complessità, la tecnica orientale dell’haiku ne fa una vera e propria disciplina poetico-speculativa: procedere per distillazioni e condensazioni è un modo di essere e di vedere l’universo nella sua interezza irripetibile, legata al divenire del momento. Quale arte più della fotografia si avvicina a questa immediatezza in cui si addensano emozioni legate ai fenomeni naturali?
In “Fotohaiku 2021”, Edizione dell’Autrice 2021, due artiste, Antonella Barina e Alexandra Mitakidis con sorprendente capacità di sintesi, intrecciano i loro linguaggi poetici e fotografici. La genesi del libro è stata lenta e carsica, poiché ha impiegato due anni per configurarsi, ma il risultato è stato sorprendente per il nitore, l’eleganza e la grazia che lo contraddistingue.
Infatti, quando ci si trova al cospetto dell’altezza e della profondità non si può fare a meno di entrare nel regno della rarefazione ed è qui che si manifesta un intreccio mirabile tra immagine e parola che suscita un senso di grata meraviglia. Haiku e immagini sono declinati nella magica cifra del sette, numero buddista che designa la completezza e che, non a caso, è simbolo della ricerca mistica per eccellenza: sette sono i colori dell’arcobaleno, le note musicali, i giorni della settimana, giusto per fare qualche esempio. Nel libro, vi sono fotografie e haiku enunciati in lemmi, ciascuno dei quali possiede una proprietà e qualità specifica che attua un processo sin(es)tetico in forma di dialogo poetico immaginale, scandito da un ritmo armonico e visivo.
Linfa/Spuma/Fuoco/Montagna/Maree/Albero/Palma sono gli assunti che segnano questo procedere in un mondo di rarefazioni e distillazioni. Gli haiku sono ripetuti per accentuare il processo d’interiorizzazione che si percepisce nelle fotografie di Alexandra Mitakidis, sgranate fino a divenire “trasparente sembianza”. L’immagine è colta nel palesarsi del momento, sospesa tra natura e artificio come una partitura incompiuta, giungendo fino all’antropomorfizzazione di un albero che per le irregolarità tormentate del tronco fa pensare all’“Urlo” di Munch.
Antonella Barina, attraverso la forma poetica degli haiku comunica un pensiero sinaptico che opera perfettamente in sintonia con le immagini, esprimendo un invito a prendere coscienza dei cambiamenti climatici in atto e invitando a riflettere sulle conseguenze che questi provocano sulla nostra “imago mundi”.
La palma, tema caro ad Antonella Barina che le ha dedicato incontri poetici e installazioni artistiche, diviene emblema di questa trasformazione, ma al tempo stesso è protagonista di un ribaltamento del punto di vista: da pianta infestante si trasforma in vessillo di rigenerazione, specchio vivente del nostro universo interiore.
Così la forma poetica dell’haiku, manifestando il fluire spontaneo della vita, ne coglie i suoi più umbratili bagliori, non in forma costante, ma discontinua, in un’alternanza di luce e ombra, e questo lo sa bene la fotografia che parimenti alla poesia, ne ri-vela l’intima essenza.
Lucia Guidorizzi