La mostra retrospettiva che il Gropius Bau di Berlino ha dedicato a Yayoi Kusama (pittrice, performer, poetessa, ballerina, fotografa, designer) a partire dal 19 marzo 2021 sarà un evento straordinario sia perché questa donna è famosa in tutto il mondo sia perché l’esposizione attraverserà 70 anni della sua carriera. L’artista, nata a Matsumoto, in Giappone nel 1929 non ha solo segnato la storia dell’arte degli anni ‘50 e ‘60 ma ha avuto un ruolo determinante anche nella storia della rivoluzione culturale femminile. Eppure è una figura minuta, che da sempre lotta con i demoni di una instabilità psichica che non la lascia in pace, come è già successo a tanti artisti del novecento, e passa lunghi periodi in un ospedale psichiatrico diventato una sua seconda casa. (Come non ricordare a questo punto la storia di Alda Merini?). Yayoi aveva dimostrato doti artistiche sin da bambina, ma la sua passione veniva ostacolata insistentemente dalla madre con modi e atteggiamenti che in seguito hanno influito sulla psiche della bambina. Quando cominciarono i suoi disturbi? Quando ne prese coscienza? L’artista racconta che da bambina, trovandosi una volta in un campo di fiori, aveva visto una luce accecante, si era sentita immersa nei fiori fino a esserne parte. Da allora aveva cercato di ricreare sempre quella sensazione: trasformare l’ambiente fisico dell’opera in una percezione sensoriale infinita.
Trasferitasi a New York nel 1958, dopo due anni di duro lavoro, contrassegnato da un isolamento artistico che la vede lavorare in direzioni opposte rispetto alla moda corrente, comincia ad attirare l’attenzione di critici di spessore. La sua è una ricerca artistica a tutto campo, mescola stili diversi: minimalismo, bodyart, pop-art, astrattismo. Kusama sa cosa vuole, ma la sua è una ricerca frenetica. Confessa in un’intervista video: “le idee mi vengono velocemente, ma le tele non mi stanno dietro”. È difficile essere artisti quando l’arte diventa una malattia, una forza totalizzante. La stanchezza, la depressione sono dietro l’angolo e talora, come lei stessa ammette, la tentazione di farla finita buttandosi dalla finestra diventa irresistibile. Poi reagisce trasformando i traumi in arte e l’arte in terapia. Sceglie di essere se stessa, nel bene e nel male, rivendica una libertà sessuale tanto più importante quanto più osteggiata dal bigottismo di una certa America e dal conservatorismo giapponese. Come non ricordare le installazioni con centinaia di falli monocromatici con i quali costringe l’America puritana a misurarsi?
Non esita a schierarsi contro la guerra in Vietnam, diventa progressivamente un’artista simbolo, un’icona del femminismo e dell’arte contemporanea (performance Anatomic Explosion on Wall Street 1968 ). Da sempre è attratta dal pois, un elemento figurativo che attraversa la sua ricerca diventandone motivo ricorrente e compulsivo. È una cellula viva di quell’universo che Yayoi cerca di rappresentare in tutta la sua infinitezza, infatti deborda dalle tele, tocca pareti, soffitti e pavimenti, ricopre i corpi, gli oggetti, lo spazio, non accetta limiti perché non li riconosce (Obliteration Room, 2002). Accanto al pois si muovono organismi biomorfici indistinti che si ispirano alla vita ed alle sue prime forme elementari. I due elementi interagiscono, spesso sono insieme altre volte separati, in ogni caso sono espressione di una pittura immersiva che non ammette distanze tra l’opera e chi guarda (vedi le tante installazioni di Infinity Mirrored Room). Da tempo i pois di Kusama hanno conquistato la moda, l’arredamento, l’oggettistica, ma l’artista, anche se ha 92 anni, continua a sognare uno spazio infinito da dipingere.
Mario Giannatiempo