Lorenzo Quinn, nato a Roma nel 1966, figlio del mito del cinema Anthony Quinn e della seconda moglie Iolanda Addolori, oggi è uno degli artisti più conosciuti e apprezzati a livello internazionale. Predilige una scultura monumentale, ispirato da una profonda ammirazione per Michelangelo e il Bernini, che lo hanno affascinato sin dai primi studi accademici. Ma nella scelta delle dimensioni Quinn percorre la strada anche di tanti artisti geniali del suo tempo quali ad esempio Cattelan, Christo, Ron Mueck, Claes Oldenburg, Florentijn Hofman. Per non citare poi gli artisti della Air- art che con i loro gonfiabili raggiungono dimensioni gigantesche: Ai Weiwei, Filthy Lucker e Pedro Estrellas, Klaus Pinter e altri ancora. Con Michelangelo e Bernini condivide il senso del grandioso come adesione a un codice comunicativo che deve raggiungere il cuore e l’anima attraverso gli occhi, con tutti gli altri ha in comune la concezione di un’arte a tutto campo, che non è un mondo a sé stante, ma è nel mondo.
Lorenzo ha scelto però un tema ricorrente, quasi ossessivo, sin dai primi lavori: le mani, un particolare anatomico che ancora una volta rimanda al passato a quelle mani michelangiolesche dell’affresco della Creazione dell’uomo, a quelle della statua di David e della Pietà. Mani che esprimono forza, amore, affetto, dolore. L’attenzione di Quinn alle mani viene dunque da lontano ma oggi, all’inizio del terzo millennio, la sua scelta si carica anche di tutte le pulsioni del presente, racconta le difficoltà della vita e dell’ambiente, chiede un mondo migliore, denuncia una politica di divisione e disattenzione. Interrogato sul perché della scelta delle mani come cifra stilistica, confessa che è attraverso di esse che la gente comunica e lui le usa appunto per diffondere un messaggio concreto al mondo cui appartiene e a quello che verrà.
In effetti esse fanno e disfano, possono creare e distruggere, non sono uno strumento passivo, anzi hanno grandi responsabilità, rispetto a ciò che prendono e a ciò che lasciano, specialmente alle generazioni future. Dunque possiamo parlare di una proposta artistica che è anche denuncia sociale, morale e politica nel senso più nobile perché si richiama a valori che appartengono all’uomo, come creatura votata a un protagonismo che non può essere solo di uso e abuso del mondo in cui ha avuto la fortuna o il destino di nascere. Non sempre però nell’arte un discorso sociologico piace e viene condiviso, e Lorenzo Quinn incontra un consenso più di pubblico che di addetti ai lavori, più tra gli intellettuali aperti e sensibili che tra gli storici dell’arte che spesso storcono il naso davanti ad opere che disseminate tra la gente, esibite in pubblico, private della sacralità museale, possono sembrare giganteschi fantocci pubblicitari. Eppure i lavori di Quinn richiamano migliaia di visitatori, trasmettono un messaggio potente e nello stesso tempo comprensibile perché toccano temi e problemi della storia passata, presente e futura.
Uno dei suoi primi lavori, Tree of Life, due mani in bronzo che stringono con dolcezza il mondo, collocato a Birmingham davanti alla Chiesa di San Martino nel 2005, vuole essere un ricordo dei caduti durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale, ma anche un invito all’abbraccio, all’unione, all’amore non all’odio. La Mano di Dio installata su Park Lane nel 2011 punta l’accento sul rapporto tra realtà umana e divina, rifiutando una lettura puramente immanente del miracolo della vita. Le opere del ciclo The force of nature, nate dopo l’uragano Katrina mostrano Madre natura agitare la terra come se volesse scagliarla lontano: ricordano all’uomo la sua fragilità, la sua impotenza di fronte ai cataclismi naturali. Nel tempo Quinn ha voluto dare alle sue sculture un ruolo ancora più dinamico, superando il semplice concetto di collocazione dell’opera nello spazio pubblico e scegliendo per esse un ruolo attivo, di azione e movimento. Nelle più recenti creazioni grandi mani bianche mimano gesti, interferiscono con il paesaggio, con i manufatti esistenti, diventando esse stesse nuovi elementi architettonici coerenti o meno, ma non silenti. Così l’arte si fa pensiero attivo, evento scenografico, provocazione culturale e sociale da condividere o rifiutare. Le ultime opere sono un invito pressante all’ascolto del pianeta, dei suoi bisogni, dei suoi mali. Le mani di Support che uscivano dall’acqua dal Canal Grande di Venezia e “sostenevano” l’hotel Ca’ Sagredo, durante la Biennale 2017, forse disturbavano lo sguardo dei turisti con i loro 8/9 metri di altezza, però esprimevano con un assordante silenzio l’urgenza di un cambiamento, di un riequilibrio nella gestione dell’ambiente. Intanto sono state fotografate più di ogni altro angolo di Venezia in quell’anno. I materiali preferiti da Quinn sono l’alluminio, il gesso e la plastica, ma il suo è un continuo sperimentare. Le dimensioni e il ricorso a componenti compositi spingono sempre più a definire le sue come sculture installative mobili, una sorta di opere itineranti vive e dialettiche, ma in fondo il dialogo è proprio quello che da sempre gli artisti cercano, una volta muto e tutto interiore, oggi forse strillato e sovrabbondante, in ogni caso adeguato al tempo.
Mario Giannatiempo

LORENZO QUINN, Gaia