Sollecitato dal professor Enzo Santese, che ovviamente ringrazio, ad esprimere alcune riflessioni sul mondo dell’Arte, mi trovo nella singolare condizione di chi abbia vissuto quel mondo da due prospettive diverse. La prima, più consueta, legata al tradizionale iter delle mostre, dei relativi cataloghi, delle recensioni critiche e delle presenze su stampa quotidiana e riviste specializzate; la seconda, più “mediatica”, legata alle televendite d’Arte Contemporanea su varie emittenti nazionali.
Naturalmente quest’ultima non sarebbe stata possibile se non avessi affrontato la precedente, e altrettanto naturalmente, anzi a maggior ragione, ho continuato a esporre anche mentre i miei quadri venivano presentati in televisione, ma non è questa la sede per ripercorrere la mia storia e suppongo che non interessi a chi legge. Vorrei tuttavia far notare, proprio in base alla mia personale esperienza, quanto il “meccanismo” che presiede alla divulgazione delle opere di un artista non possa comunque prescindere dal dialogo col grande pubblico, in qualunque forma o tipologia, un po’ come accade a un attore di teatro che si proponga su un palcoscenico. Se è vero infatti che vi siano pittori con un nutrito curriculum alle spalle, spesso costruito nel tempo da chi ha creduto e investito sul loro lavoro, è altrettanto vero che senza un adeguato riscontro di mercato tale curriculum non vada oltre una mera dichiarazione di esistenza, pur meritevole di rispetto, o una gratificazione personale.
Certo il ruolo, parimenti divulgativo, dello studioso o del giornalista di settore rimane fondamentale, e in qualche modo il collezionista lo pretende, sia come riscontro culturale del “dato” estetico, sia indirettamente come garanzia del proprio investimento. Così vale per la prima prospettiva cui accennavo in esordio: più l’artista espone, più si fa vedere e notare in mostre, pubblicazioni e quant’altro, possibilmente sostenuto da mercanti capaci, più egli si accredita agli occhi e alla considerazione di chi acquisterà, o abbia già acquistato, una sua opera. Non è detto che debba farlo in televisione o in galleria, ma a mio avviso sarà sempre la qualità a orientare la sua scelta, indipendentemente dall’abilità dell’imbonitore di turno, magari per un puro impatto visivo che lo colpisce e lo coinvolge d’istinto, e al di là delle “spiegazioni” che gli si possono dare. Se lo stesso impatto si ripeterà allargando il raggio ad altre opere e ad altri “osservatori”, superando il sospetto di una casualità, sarà quello il miglior riscontro a cui un artista possa ambire, e dal momento che stiamo parlando di “arti visive” mi sembra la cosa più giusta.
Mi auguro davvero, usciti dalla crisi che stiamo combattendo e che molti assimilano a una guerra, il ritorno appunto a una “qualità” dell’Arte, ma ritengo che i suoi strumenti di diffusione, in futuro, saranno più “virtuali” che in passato, e quindi meno legati ai riti canonici dei vernissage o delle fiere. Nel secolo scorso un grande pianista canadese, Glenn Gould, smise di fare concerti e si dedicò esclusivamente a sperimentare in studio di registrazione: uscivano i suoi dischi, scriveva libri, rilasciava interviste in video per spiegare le sue ricerche. Equiparando le mostre di un pittore ai concerti di un musicista, dico che mi piacerebbe fare lo stesso, se potessi, e anche se non sono Glenn Gould.
Fabrizio Campanella