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Giovanni da Udine: l’artista delle grottesche

Il salone del Parlamento del Castel­lo ospita dal 12 dicembre 2020 al 14 marzo 2021 la mostra re­trospettiva che la città di Udine dedica a Giovanni Ricamatore o Giovanni da Udine, dal titolo: Gio­vanni da Udine tra Raffaello e Michelangelo (1487 – 1561) è un doveroso omaggio a un artista la cui abilità e originalità riconobbe lo stesso Raffaello, di cui per diversi anni fu al­lievo prediletto. Secondo il Vasari Giovanni sarebbe nato nel 1494 e morto nel 1564, ma tutti i biografi danno come anno di nascita il 1487 e per la morte il 1561. Sembra dispu­ta da poco ma l’effetto di tale discordanza di date non incide tanto sulla parte finale della vita dell’artista quanto sulle fasi iniziali, per­ché i riferimenti temporali proposti da Vasari segnalano un talento precocissimo. In ogni caso sin dall’infanzia Giovanni aveva rivelato ottime disposizioni naturali verso il disegno dal vivo e, seguendo il padre nelle sue bat­tute di caccia, lo aveva stupito con ritratti di animali e uccelli così precisi e naturali che sembravano frutto del lavoro di un adulto e non di un bambino. Infatti appena fu possibi­le, il genitore mandò il figlio a bottega prima in Udine presso un certo Giovanni Martino, pittore e intagliatore, poi lo portò a Venezia a imparare dal Giorgione. Intanto studiava e copiava le opere di Michelangelo e Raffaello. L’esperienza del primo tirocinio aveva affi­nato e rafforzato la sua abilità nel disegno, la scuola di Giorgione ne aveva stimolato i cromatismi che diverranno poi fondamentali nel corso degli anni successivi, l’insegnamen­to dell’artista urbinate avrà i sui effetti nella gentilezza ed eleganza del tratto, nell’equi­librio della composizione. Ma la passione di Giovanni era rimasta la stessa di sempre: l’at­tenzione al mondo della natura, alle diverse specie animali e vegetali, che ritraeva con un realismo e un elegante senso dello spazio che anticipa di anni il gusto fiammingo per le nature morte.

L’autore de “Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architettori” rac­conta che Giovanni aveva realizzato un vero e proprio album di disegni di uccelli che era lo spasso et il trastullo di Raffaello. Comincia ad affiancare in modo crescente il suo mae­stro. È lui a dipingere con somma precisione tutti gli strumenti presenti nel capolavoro di Raffaello l’Estasi di Santa Cecilia: l’organo portativo che la Santa lascia cadere e gli altri a corda, a fiato e a percussione sparsi a terra. L’occasione poi delle ripetute visite agli scavi del palazzo di Tito e l’esplorazione delle stan­ze ancora sepolte determinarono una svolta nella pittura del giovane.

Le pitture parietali abbellite con stucchi e elementi floreali, con motivi che percorrevano i muri senza inter­ruzioni e con piani sovrapposti, raccontando piccole storie fantastiche, riportarono il gio­vane artista al primo amore, allo studio del paesaggio e delle sue forme di vita. Se ne innamorò al punto tale da farle tornare in vita: le ricreò con pazienza diventando così bravo da superare di gran lunga l’arte degli antichi. Fu l’artista delle “grottesche”, (così erano chiamate questi motivi pittorici scoper­ti in ambienti sotterranei simili a grotte) e, come riferisce il Vasari, il giovane apprendi­sta non solo imitò le pitture parietali ma riu­scì a ricreare il biancore e la levigatezza degli stucchi mescolando e rimescolando calcina e polveri di travertino fino a ottenere finalmen­te l’effetto voluto.

Sebbene tutta la scuola di Raffaello collabori ai suoi lavori, la mano di Giovanni comincia ad avere uno spazio cre­scente ed autonomo che lascia il segno: nei lavori alla Loggia della Villa Farnesina sua è la raffigurazione di circa duecento specie ve­getali. Comincia a lavorare anche in proprio su commissioni che vengono da privati o da ambienti ecclesiastici e la sua sfera di compe­tenza si allarga fino a comprendere restauro e architettura. Qualche anno dopo la morte di Raffaello, maestro e amico, torna a Udine ove prende moglie nel 1535, diventando nel tempo padre di numerosi figli e, pur avendo avuto in animo di mettere da parte gli attrezzi del mestiere, continua a muoversi in giro per l’Italia lavorando per signori e papi. Quando nel 1550 mette mano alle decorazioni della terza loggia vaticana, le grottesche, i festoni e gli stucchi lo riavvicinano a quel mondo animale e vegetale che aveva amato sin da bambino.

Poco dopo muore e viene seppelli­to accanto al suo maestro Raffaello. Che dire della sua arte? Avendo vissuto in un’epoca di giganti non poteva ottenere il successo che avrebbe meritato. Ma ha lasciato comunque il segno della sua genialità in tanti luoghi a cominciare dallo stesso castello di Udine, nel­le cui sale sono ospitati disegni provenienti da collezioni pubbliche e private, lettere, mate­riale fotografico e video di grande interesse.

Mario Giannatiempo

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