Un borgo che non raggiunge i 400 abitanti, incastonato nel cuore della Carnia, è uno splendido esempio di come le regole della geografia possono essere smussate nei punti in cui sembrano prevalere i concetti di isolamento, abbandono della montagna, fenomeno della senescenza demografica. In effetti da diversi anni Illegio dimostra come si possa trasformare la periferia in un centro pulsante di iniziative culturali, capaci di catalizzare l’attenzione e l’apprezzamento di un vasto pubblico e della critica internazionale. Il merito va senz’altro ascritto a don Alessio Geretti, ideatore dell’evento e organizzatore di una squadra di collaboratori ormai sperimentati tanto da rendere possibile lì ciò che nei capoluoghi, non solo della regione Friuli Venezia Giulia, dicono sia inibito dalla solita giustificazione che “i soldi non ci sono”. Qui, grazie all’indubbia bravura e all’intraprendenza del titolare del progetto, arrivano le risorse che servono alla realizzazione della rassegna e a un certo benessere della socialità. Questa edizione (aperta dal 4 luglio al 13 dicembre) si annuncia con tutto il suo carico beneaugurante dopo le settimane di chiusura per la pandemia e il titolo si presta anche a un’interpretazione in linea con tale assunto,
“Non tutto è perduto”. In realtà ci si riferisce a quelle opere che sono andate irrimediabilmente perdute per rapine belliche, incendi o altro ancora. L’evento si fonda proprio sulla negazione di quell’avverbio (irrimediabilmente), perché Illegio testimonia invece con questa rassegna che la tecnologia – talvolta vituperata in una maniera che non si sintonizza con l’intelligenza – ha un ruolo centrale nel rendere visibile o comunque percettibile ai sensi, quanto è stato cancellato o nascosto dalle vicende della storia o dagli episodi della cronaca.
Questa sedicesima mostra internazionale, realizzata nella Casa delle esposizioni della località montana dal Comitato di San Floriano in collaborazione con i tecnici e gli storici di Factum Arte di Madrid, con Sky Arte e Ballandi Arts, è molto particolare nella sua struttura e diversa da tutte quelle che l’hanno preceduta, perché i capolavori presenti sono la proiezione in 3D, quindi una sorta di rimaterializzazione di quadri che da tempo sono spariti dai circuiti museali o del collezionismo.
Uno straordinario lavoro filologico condotto sugli originali ha consentito di riproporre al pubblico in tutta la loro bellezza opere che sarà difficile rivedere a breve a distanza così ravvicinata, con la possibilità di entrare nelle fibre costitutive della pittura dei singoli artisti.
La dotazione è quanto mai interessante sul piano della spettacolarizzazione e seducente dal punto di vista culturale e informativo. Al pubblico sarà così consentito gustare appieno la bellezza di sette grandi opere, tornate alla luce dopo un lavoro di “perfetta ricostruzione”: Concerto a tre di Johannes Vermeer, rubato allo Stewart-Gardner Museum di Boston nel 1990; La torre dei cavalli azzurri di Franz Marc, sequestrato dal gerarca nazista Hermann Goring e mai più visto dal 1945; Myrto di Tamara de Lempicka, portato via dai soldati tedeschi nel 1943; Vaso con cinque girasoli di Vincent van Gogh, distrutto nel bombardamento di Ashya nei pressi di Osaka in Giappone contemporaneamente allo sganciamento dell’atomica a Hiroshima; Medicina, tela dipinta da Gustav Klimt per il soffitto dell’Università di Vienna e sottratta dai nazisti in fuga nel 1945; Ninfea di Claude Monet, bruciata nell’incendio del MoMa di New York nel 1958; Ritratto di Sir Winston Churchill di Graham Sutherland, del 1954, fatto distruggere dalla moglie del politico inglese, Lady Clementine un anno dopo. Poi il San Matteo e l’angelo, dipinto da Caravaggio per la Chiesa di San Luigi dei Francesi a Roma nel 1602, “rimaterializzato” dall’artista finlandese Antero Kahila; le vetrate della facciata principale della cattedrale di Chartres, riprodotte fedelmente nel laboratorio di San Bellino di Rovigo da Sandro Tomanin. Un ruolo speciale ha l’opera Le restaurant de la Sirène à Asnièrs, un olio su tela databile 1880-1890, che secondo alcune ipotesi potrebbe essere il bozzetto dell’opera omonima di Van Gogh, del 1887, oggi nella dotazione del Museo D’Orsay di Parigi. Nell’occasione fanno bella mostra di sé anche alcune opere ritrovate proprio nella loro fisicità originaria: San Vito e San Maurizio, due sculture lignee del 1492 di Domenico da Tolmezzo.
E. S.