Anche il capoluogo friulano è stato nel “mirino” della pittura di Marco Petrus, artista riminese che abita e opera a Milano, per il quale la Galleria Artesegno di Udine ha organizzato in questi ultimi anni vari appuntamenti espositivi.Le case dipinte da Petrus danno al fruitore la capacità di ricondurle mentalmente all’ambiente urbano d’origine, ma dal momento in cui vengono trasposte sulla tela modificano la rispettiva matrice di derivazione spaziale per diventare “corpi” esibiti in una guida fantastica, che invita alla profondità di una riflessione su presenze erette con slancio razionale. La città così è ricostruita nelle sue evidenze architettoniche più rilevanti per l’artista, che le coglie in una carrellata analitica, collocandole poi in una sorta di aggregato virtuale, posto a sfilare attraverso una scenografica disposizione degli edifici inquadrati dalla sua indagine. L’attenzione dell’artista è da tempo rivolta al paesaggio urbano, ma contiene una sorta di volontà chirurgica per cui lo decontamina da tutto quanto non è pura teoria architettonica, applicata alla realtà della metropoli. In tale contesto le macchine, le persone, il traffico di ogni giorno hanno subito un prelievo temporaneo, nel complesso dei loro dettagli usuali, per far apparire nella sua nervatura essenziale il luogo di svolgimento della loro esistenza. Il tutto è governato da un processo di sottrazione che consente di focalizzare esclusivamente gli elementi di interesse; in questo senso, quanto una persona indispettita dall’inquinamento sogna, Petrus realizza nella sua pittura. È uno scoprire la città nelle determinazioni fisiche costitutive, nella sua struttura portante, quella meno esposta alle modificazioni delle stagioni, e fissarla in immagine confinata nell’immobilità di uno spazio lontano dalle leggi fisiche d’evoluzione. Il confronto con il tempo si consuma nella cifra metafisica: cieli piatti incombono su una realtà depurata dal caos quotidiano, anche se spesso assumono toni e colori più credibili rispetto ad prove. La fuga di linee inserite in una griglia geometrica dà ritmo alla composizione e rimanda a una concettualità razionale. Gli edifici vengono assunti a pretesti per un approfondimento nello studio della forma, che si situa in una zona di marcata stilizzazione. Dai dipinti dedicati alle architetture della sua città d’adozione, Milano, Petrus è passato a considerare anche realtà di Udine come l’Ospedale Civile, la Casa Moretti e quella dei Faggi, o regionali (la casa Zelco a Trieste); è stato un modo per interpretare il lavoro di architetti famosi, quali per esempio Enzo Fior, Federico Marconi, Ermes Midena e Paolo Pascolo. Le finestre cieche rendono le case involucri ermeticamente chiusi all’influsso dell’esterno, quasi ambiti separati nella distinzione assoluta tra pubblico e privato. I soggetti inanimati (cioè privati di respiro e “mummificati” in una dimensione arcana) sono immersi in un vuoto asettico, dove l’atmosfera di sospensione inquietante si mitiga con il concerto di linee sfuggenti in prospettiva, oppure nel raccordo degli elementi secondari, vale a dire la sequenza degli infissi, dei telai per i vetri, le fughe dei cornicioni, le linee prospettiche dei palazzi. Il punto di vista appare basso, spesso obliquo e corto (nel senso che l’oggetto ritratto è a poca distanza dall’artista che lo interpreta). La questione del tempo in Petrus si coniuga con la sottolineatura di una situazione paradossale di quiete; involucri di umanità, le case sono per una strana combinazione permeati da un silenzio dove il sospetto della desuetudine e dell’abbandono è subito cancellato dalle linee curate degli edifici stessi che alludono a presenze discrete, ognuna dislocata nelle stanze della rispettiva intimità e dentro il flusso della propria cronaca personale. Verande in parte protette da vetrate, finestre aggettanti, balconi allineati, rientranze ombrate da una luce radente, terrazze sovrapposte in parallelo a smussare con la loro rotondità l’angolo di una casa (per esempio, la Zelco di Trieste), piani disposti a gradoni per un gioco più efficace e funzionale con la luce, sono tutti ingredienti di una pittura dove l’eloquenza dell’architettura bilancia l’apparente assenza di vita. Le realtà abitative sono ridotte a brani, per cui la parzialità d’inquadratura nella sua incompletezza lascia vibrare il senso di un’ulteriore possibilità interpretativa offerta al fruitore e scaturita, peraltro, dall’aderenza rigorosa alle linee fondanti di una geografia riconoscibile.
Enzo
Santese